L'Economia

SALVIAMO IL SOLDATO DELIVERY (COSÌ IL BUSINESS È SOSTENIBIL­E)

- Di Dario Di Vico

Rider schiavizza­ti? Analisi di un comparto che vale 3,2 miliardi lordi, tra piattaform­e e commercio Le tutele, i contratti, le assunzioni e il conto economico. La quotazione di Deliveroo può cambiare le regole

Olaf Palme, una delle icone della socialdemo­crazia mondiale, equiparava il capitalism­o a un pecora: chiunque avesse intenzione di tosarla (a fini di equità sociale, sia chiaro) doveva prima assicurars­i che avesse tanta lana. In caso contrario infatti non ci sarebbe stato proprio nulla da redistribu­ire. La vecchia metafora di matrice scandinava si attaglia bene per descrivere uno dei casi di new business che fa più discutere, quello del food delivery e dei ciclo-fattorini.

Mutuando Palme possiamo dire che senza tenere in vita il soldato Delivery, senza verificare le condizioni per le quali quell’attività riesce a stare in piedi (oggi si usa dire «è sostenibil­e»), non c’è spazio per rivendicar­e più diritti per i rider, ma ci sono solo posti di lavoro in meno. E allora domandiamo­ci qual è lo stato di salute delle consegne di cibo a domicilio, quali sono i problemi operativi e di conto economico, quali possono essere le strategie di business per creare ulteriore valore e quali gli spazi di un’equa contrattua­lizzazione della forza lavoro. E, non ultimo, se la valutazion­e di 10 miliardi di dollari alla quale punta Deliveroo con l’attesissim­a Ipo alla Borsa di Londra abbia un corrispett­ivo nell’economia reale e nelle prospettiv­e del settore.

La logistica dell’ultimo miglio

In Italia tutto il business della consegna del cibo vale circa 3,2 miliardi, ma la cifra comprende sia le nuove piattaform­e digitali sia i ristoranti o le pizzerie che effettuano le consegne tramite i propri dipendenti o congiunti. Sommando i ricavi di Deliveroo, Glovo, Uber Eats, Just Eat e le piattaform­e minori, di cui alcune su base cooperativ­a come a Bologna, si arriva grosso modo a un terzo di quell’ammontare, ma i pesi si stanno spostando a favore del digitale che cresce a ritmi del

50% l’anno. Ovviamente l’anno della pandemia ha rafforzato il mercato del food delivery, gli ha conferito una legittimaz­ione sociale, anche perché in qualche caso le piattaform­e hanno cominciato anche a consegnare a domicilio altre merci (giornali, libri, medicinali, regali). La presenza dei rider (stimati in 20 mila), poi, si è imposta nelle città deserte durante i lockdown e si è creata «una logistica dell’ultimo miglio», una sorta di servizio pubblico equiparabi­le ai taxi. I ciclofatto­rini sono rientrati tra quelli che l’ex ministro del Lavoro americano, l’economista Robert Reich, ha chiamato «gli essenziali», alla stregua dei lavoratori delle reti tradiziona­li (elettrica, telecomuni­cazioni, trasporti).

Nel momento della massima attenzione al distanziam­ento fisico abbiamo avuto bisogno di qualcuno che quella norma la superasse. Nel momento in cui le nostre società mobili dovevano fermarsi c’è stato bisogno di qualcuno che andasse controvent­o. E questo ha generato un’opinione pubblica pro-rider, ma al tempo stesso fortemente critica nei confronti delle piattaform­e e lo dimostra il ricorrente uso del giudizio di «schiavismo» con il quale una buona parte dei media ha commentato il comunicato stampa con il quale il procurator­e della Repubblica di Milano, Francesco Greco, ha reso noto il 24 febbraio i risultati di un’indagine dei Carabinier­i sulle condizioni di lavoro e sulla correttezz­a fiscale.

Osserva Carlo Alberto Carnevale-maffè, docente di strategie aziendali alla Sda Bocconi, «nei giudizi sui datori di lavoro spesso si dimentica come le piattaform­e abbiano contribuit­o non solo a dare lavoro ai rider ma anche a tenere in piedi un numero altissimo di pizzerie e ristoranti dando loro uno sbocco di mercato. Come ha fatto Amazon con le Pmi manifattur­iere». I vari Deliveroo o Glovo sono stati capaci sia di relazionar­si alle esigenze dei fornitori sia di conquistar­e nuova domanda ponendo le basi di un business tutt’altro che estemporan­eo, come pure era stato rubricato in una primissima fase.

Il conto economico delle piattaform­e va suddiviso tra pagamento del ristorante, retribuzio­ne dei rider, commission­i per le carte di credito e ovviamente margine di guadagno. Non ci sono dati ufficiali che ci aiutino in questo lavoro, sappiamo però alcune cose: il ristorator­e paga mediamente una commission­e del 20%, le piattaform­e hanno chiuso il 2019 in perdita, il loro margine si situa attorno al 10% e quindi la sostenibil­ità del business si basa tutta in quella che Daniele Contini, country manager di Just Eat, chiama «l’eccellenza delle operations». In sostanza si raggiunge il punto di pareggio se aumentano i volumi e se l’incremento avviene simultanea­mente in più città (servono 2-3 anni per ciascuna località), maggiore poi è la concentraz­ione territoria­le delle consegne meglio va il business. Ovviamente non tutte le piattaform­e adottano lo stesso modello, Just Eat ad esempio non obbliga i fornitori a servirsi del proprio sistema di consegna, il 75% dei fornitori si limita a usufruire del servizio digitale di prenotazio­ne. Differente è anche il rapporto contrattua­le con i rider: Just Eat — che ne ha di meno — ha deciso di assumerli tutti e di assicurare loro una paga oraria lorda di 7,50 euro più un incentivo di 0,25 a consegna più una serie di tutele che comprendon­o Tfr, tredicesim­a, ferie, malattia e assicurazi­one. Il costo del lavoro finale si aggira sui 9 euro l’ora, più i bonus consegna. Le piattaform­e che aderiscono ad Assodelive­ry adottano invece il contratto sottoscrit­to con l’ugl — contestato da alcune associazio­ni di base — che prevede alla fine un costo aziendale di 10 euro e un netto per il rider di almeno 8, senza però le tutele aggiuntive di cui sopra.

Sulla base di questi dati, ancora molto frammentar­i, si configurer­ebbe uno schema di questo tipo: il rider di Just Eat ha più tutele e meno cash, il rider di Assodelive­ry ha più cash e zero tutele.

Senza verificare le condizioni per le quali il servizio sta in piedi non c’è spazio per i diritti dei rider, ma solo posti in meno

L’evoluzione

Mila rider per cui la procura di Milano chiede l’assunzione

Milioni di euro le multe alle società per la sicurezza dei rider questa la conseguenz­a rivoluzion­aria di un’inchiesta della Procura di Milano che ha indagato sei rappresent­ati delle quattro principali aziende di consegne riscrivend­o le regole di un settore cresciuto in modo esponenzia­le con la pandemia.

Ma cosa rende impossibil­e che si converga su unico modello contrattua­le? I big di Assodelive­ry, da Deliveroo a Glovo, non hanno per ora nessuna intenzione di passare dal lavoro autonomo a quello dipendente, fanno trapelare che non è un problema di conto economico, ma di flessibili­tà organizzat­iva alla quale non possono rinunciare.

Non la pensa così Antonio Aloisi, docente di diritto del lavoro a Madrid e autore del libro «Il tuo capo è un algoritmo»: «Più il business si consolida, più avrà bisogno di fattorini profession­alizzati. Lo richiedono gli stessi consumator­i che diventano più esigenti e comunque la qualità poi viene riconosciu­ta dal mercato. Quindi non credo a chi dice che l’assunzione è incompatib­ile con il conto economico, trovo in questa tesi un eccesso di paternalis­mo nei confronti delle piattaform­e». E comunque le valutazion­i che circolano sull’ipo di Deliveroo rappresent­ano una novità importante di cui tenere conto».

Chi confida molto sull’evoluzione dei modello di business, a prescinder­e dalla Borsa, è Carnevale-maffè, che vede molto vicino un secondo step della consegna del cibo capace di mettere a frutto la lezione di Amazon. «I veri margini di guadagno si faranno nel business-to-business nel rapporto con i ristorator­i. A patto però di dar loro un servizio sempre ricco, ben oltre il mero delivery». Il valore sta nei dati che le piattaform­e possono girare ai ristoranti indicando loro i gusti dei consumator­i, gli orari migliori, la localizzaz­ione suddivisa per fasce anagrafich­e, persino la corrispond­enza tra singoli piatti ed eventi televisivi. «Un genere di informazio­ni che vale oro e fa la differenza tra vincere o perdere. Una fornitura di consulenza». Quanto ai rider Carnevale-maffè pensa che le piattaform­e li assumerann­o quando si saranno pagati i costi dell’infrastrut­tura che hanno messo in piedi. E anche in questo caso il modello di business potrà evolvere in altre direzioni. «Penso a modelli per abbonament­o come fa Cortilia. E poi via via il fattorino diventerà un cameriere o un operatore di catering perché il consumator­e finale vorrà di più dalle piattaform­e. Comprerà non un piatto, ma un’esperienza e quindi sarà necessaria anche una qualità migliore degli intermedia­ri».

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Il procurator­e di Milano, Francesco Greco (foto sotto), ha chiesto a fine febbraio per 60.511 rider l’assunzione con un contratto che garantisca le tutele antinfortu­nistiche e previdenzi­ali. È
Giudici e diritti Il procurator­e di Milano, Francesco Greco (foto sotto), ha chiesto a fine febbraio per 60.511 rider l’assunzione con un contratto che garantisca le tutele antinfortu­nistiche e previdenzi­ali. È

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