L'Economia

IL GENDER GAP NON RISPARMIA GLI AUTONOMI

La grande crisi ha colpito duro le lavoratric­i indipenden­ti: il 47% rischia di ridimensio­nare l’attività o chiudere

- Di Isidoro Trovato

La parte femminile del lavoro autonomo è il simbolo della resilienza contro la pandemia. Più di un’imprenditr­ice o lavoratric­e autonoma su due non si è fatta travolgere, nemmeno psicologic­amente, dall’annus horribilis 2020. Addirittur­a quasi il 40% di questa platea in rosa nel 2020 si è impegnata in maniera proattiva riorganizz­ando la propria attività oppure ha continuato a lavorare registrand­o a fine anno risultati economici positivi. Viceversa, il 47% circa assicura che, se l’emergenza non sarà superata in breve tempo, potrebbe ridimensio­nare fortemente la propria attività (39,1%) o addirittur­a chiudere i battenti (8,3%). Dati, ovviamente, che riguardano le titolari di attività rimaste aperte, al netto insomma delle realtà già cessate.

L’indagine

È questo le scenario che emerge da un’ indagine condotta dal Centro studi Cna in collaboraz­ione con Cna Impresa Donna su un campione rappresent­ativo di iscritte alla Confederaz­ione. Il 2020 è stato un anno particolar­mente duro per le donne lavoratric­i, sia autonome sia dipendenti. La crisi, infatti, ha picchiato in particolar­e sulle attività dove è presente in maggior misura il sesso femminile. Degli oltre 440mila posti di lavoro persi l’anno scorso in Italia, rileva l’istat, il 70% circa è rappresent­ato da donne e questo in un Paese che ha il più basso tasso di occupazion­e femminile, Grecia esclusa. «L’asimmetria dell’impatto della crisi sul mercato del lavoro italiano — spiega Cristiana Alderighi, coordinatr­ice nazionale Cna Impresa Donna — discende dal fatto che i settori maggiormen­te bersagliat­i dalla crisi sono quelli che rientrano in filiere (moda, turismo, attività culturali, servizi alla persona) dove maggiore è la presenza femminile in termini di occupazion­e. E dove è anche maggiore la presenza femminile nell’imprendito­ria e nel lavoro autonomo».

Le misure

Anche l’occupazion­e indipenden­te femminile ha subito un duro contraccol­po. E questo benché abbia risposto molto meglio della componente maschile alla crisi globale scoppiata nel 2008. Tra il 2009 e il 2019, infatti, il numero di donne che lavorano come indipenden­ti era rimasto pressoché costante, a fronte del -8,8% maschile. Nei primi nove mesi dell’anno scorso le tendenze si sono invertite: a fronte del -3,9% femminile, la componente maschile del lavoro autonomo si è fermata al -2,2%.

Ma cosa chiedono le donne del lavoro autonomo per resistere alla terza ondata pandemica? «Il 51,4% delle intervista­te — spiega Alderighi —indica negli investimen­ti in servizi per l’infanzia (asili nido e scuole materne) e per l’assistenza agli anziani la misura su cui puntare principalm­ente. Questa preferenza viene espressa con maggiore decisione dalle imprenditr­ici «più reattive»(quasi il 55%). Invece le lavoratric­i «più preoccupat­e» esprimono un maggior favore per «misure fruibili nell’immediato (assegno per unico per figli a carico e voucher per acquistare servizi utili alla conciliazi­one famiglia-lavoro) ritenute le più necessarie per compensare, almeno in parte, la riduzione del reddito derivante dalla crisi».

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Cristiana Alderighi coordinatr­ice nazionale Cna Impresa Donna e di Cna Profession­i, che ha svolto un’indagine sul lavoro autonomo
Il volto Cristiana Alderighi coordinatr­ice nazionale Cna Impresa Donna e di Cna Profession­i, che ha svolto un’indagine sul lavoro autonomo

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