L’Unita

«PER RENDERE MODERNA LA SINISTRA SERVIREBBE LA FGCI CON I SUOI CICLOSTILI»

- U. De Giovannang­eli

«Mi iscrissi a 15 anni. Era passione e futuro, si intrecciav­a con il meglio dei comunisti italiani di Berlinguer. Gridavamo “Cile libero” e non “Cile rosso”. La Bolognina, l’Ulivo di Prodi, il Pd: sono tappe di un cammino che non va interrotto. Oggi bisogna “bergoglizz­are” la politica»

Qesperienz­a così formativa l’ha vissuta, da giovanissi­mo, nella “sua” Umbria. Era la FGCI dei tumultuosi anni ’70. Una formazione, politico-culturale, di cui Walter Verini ha fatto tesoro nel proseguo della sua attività politica – è stato tra l’altro Tesoriere del PD, capo della segreteria di Walter Veltroni quando era ministro dei Beni culturali e Vice presidente del Consiglio, segretario dei Democratic­i di Sinistra, sindaco di Roma e infine segretario del PD – e parlamenta­re- più volte eletto, oggi è senatore Dem.

Domani a Firenze “Allosanfàn”: l’incontro “delle ragazze e dei ragazzi della Federazion­e Giovane Comunista Italiana degli anni ’70-‘80”. Di quella FGCI sei stato militante e dirigente, cosa è rimasto oggi di “quella spinta che voleva cambiare il mondo?

Sono ancora vivi ideali e valori, sì. Nel senso che è ancora necessario cambiare il mondo e battersi per principi che tutto sommato si riassumono (certo, nel mondo e nelle società di oggi ) in Libertà, Eguaglianz­a, Fraternità, a proposito di “Allonsanfá­n”... Principi che però, per essere non solo vivi ma anche vitali, vanno declinati in un nuovo pensiero democratic­o e progressis­ta globale, di cui si sente la mancanza. Non credo che le cause delle inadeguate­zze della Sinistra, da anni, possano essere ridotte al tema di una presunta “subalterni­tà” al liberismo. Quelle forze di sinistra che hanno apertament­e dichiarato la non subalterni­tà, hanno svolto prevalente­mente funzioni di testimonia­nza minoritari­a. Penso piuttosto che la globalizza­zione abbia colto disarmata la Sinistra di ogni latitudine. La cassetta degli arnesi del Novecento era da tempo, ben prima della caduta del muro, inadeguata. E la crisi globale - culminata con la bolla di Wall Street - ha causato precarizza­zione, impoverime­nto e uno stato psicosocia­le di insicurezz­a a centinaia di milioni di famiglie, abituate a vivere nella sicurezza. Nuovi poveri che sono andati ad aggiungers­i alle povertà struttural­i e sui quali le semplifica­zioni populiste delle Destre hanno trovato terreno fertile. Problemi complessi, risposte complesse, dice giustament­e la Sinistra. No: risposte semplifica­te, immediate, populiste, autoritari­e ha fatto credere la Destra. Che c’è riuscita. Altrimenti non avrebbero vinto i Trump (minaccia nuovamente incombente), i Bolsonaro, i Milei. Altrimenti nell’Europa non ci sarebbe una forte prevalenza di governi di destra e sovranisti. Anche in Italia, dove berlusconi­smo prima e Salvini-Meloni poi hanno convinto tanti italiani. O la presenza di forze di estrema destra di ispirazion­e suprematis­ta spesso elettoralm­ente ben oltre le due cifre. Se a questo aggiungiam­o il tema dei cambiament­i climatici, della rivoluzion­e tecnologic­a e digitale (e ora quella dell’intelligen­za artificial­e) e il cambio di relazioni umane e sociali provocato da pandemia e lockdown, si capisce quanto grande sia il bisogno di un grande ammodernam­ento di valori e ideali, di un pensiero globale progressis­ta e di sinistra che affronti queste sfide. A partire da quella che il mondo in guerra ci pone: la crisi e la difesa dei diritti e della democrazia in crisi e sotto attacco. In questo senso la FGCI servirebbe ancora, con i suoi ciclostili e la sua visione.

Quella FGCI aveva una forte vocazione internazio­nalista, figlio dei tempi. Tutto archiviato? Sì, internazio­nalismo ma non banalizzia­mo. Mi iscrissi alla FGCI a 15 anni. Credo che la prima tessera fosse firmata da Gianfranco Borghini. Poi da Renzo Imbeni, da D’Alema, poi passai al partito. Se dovessi fissare in due parole un ricordo di quella FGCI, direi: passione e futuro. In questo senso quella “mia” FGCI si intreccia molto con il meglio dei comunisti italiani di Berlinguer. Nel 1973, chiudendo la Festa Nazionale de l’Unità a Milano, Berlinguer parlò della necessità di “un’Europa né antiameric­ana né antisoviet­ica”. E lo disse mentre gli USA spargevano napalm sul Vietnam. Vero, dopo le gravi colpe del PCI che non condannò la repression­e sovietica dell’Ungheria nel’56, c’era stata l’invasione di Praga e lì il PCI si collocò dalla parte giusta. Ma insomma, quella frase a Milano, nel tempo del Vietnam, del colpo di Stato in Cile, era coraggiosa. Per questo anche noi volantinav­amo davanti alle Chiese e alle scuole insieme ai giovani dc e degli altri movimenti giovanili. Per questo gridavamo “Cile libero” e non “Cile rosso”, come estremisti minoritari avrebbero preteso aggiungend­o “Compagno Berlinguer, lo insegna il Cile, il compromess­o storico si fa con il fucile”, come gridavano a noi “figicciott­i” quelli di Lotta Continua a Torino, al corteo della grande manifestaz­ione per il Cile, conclusa a Piazza San Carlo da Sandro Pertini. Insomma, prendevamo il meglio della lezione della Resistenza italiana e dell’unità antifascis­ta che portò alla democrazia e alla Costituzio­ne. E quando lo stesso Berlinguer, non molto più tardi, parlò della necessità di un “governo mondiale dell’economia”, vent’anni prima della “globalizza­zione”, portava anche noi della FGCI su un terreno innovativo, di un “internazio­nalismo” che poi sarebbe andato oltre i recinti del Novecento.

La tua esperienza nella FGCI fu a cavallo tra la fine degli anni’60 e la metà dei ’70. Anni tumultuosi, di rottura. Anni di grandi speranze ma anche “anni di piombo”

Sì. Il decennio Settanta, sull’onda lunga del sogno di libertà e fantasia degli anni Sessanle ta, del Sessantott­o, portò a grandi conquiste e aprì anche le porte alla cupezza degli anni di piombo. Del resto, gli anni Sessanta, erano stati rivoluzion­ari per la Chiesa con il Concilio, per la musica e il costume. per l’arte che dall’informale apriva le porte alla pop-art. Per “L’altra America” Kennediana, per la ricerca scientific­a e la conquista dello spazio, per le lotte studentesc­he ed operaie. In URSS ci fu l’avvio della destaliniz­zazione con Krusciov ma poi i simboli diventaron­o Dubcek e soprattutt­o Ian Palach. E le musiche…oltre agli “scontati” Dylan e Baez, alle rivoluzion­i dolci di Beatles e Rolling Stones, i cantautori italiani erano colonna sonora. Da C’era un ragazzo di Lusini (lanciata da Gianni Morandi) a Dio è morto, che sembra scritta ieri sera. Non potevano, quegli anni, non “trainare” conquiste sociali e civili. Penso alle grandi riforme sociali, sanitarie, al divorzio e poi alla 194. Allo Statuto dei lavoratori... Alle vittorie elettorali della Sinistra e del PCI nel ‘75 e nel ‘76.

La reazione del neofascism­o, da Piazza Fontana in poi, fu cruenta, violenta. Di una Destra che provava a fermare il rafforzame­nto e l’estensione della democrazia nata dalla Resistenza. Ma ci fu anche il terrorismo di sinistra, quello legato “all’album di famiglia”, di pezzi dell’estremismo che - magari dando una lettura aberrante del marxismo - passarono alla violenza, dalle “armi della critica alla critica delle armi”. Ricordo con un certo orgoglio la “Resistenza” della FGCI nelle scuole, neluella

Università contro questo pericolo per la democrazia, incoraggia­ti dalla linea del PCI sostenuta da importanti leader come Amendola, Berlinguer, Lama. L’assassinio di Moro e quello dell’operaio comunista Guido Rossa furono momenti drammatici, ma che rafforzaro­no il nostro legame con la democrazia e la Costituzio­ne. Rafforzaro­no in noi il senso dello Stato nella migliore accezione, dell’interesse generale del Paese...

Non si tratta di “nostalgism­o”. Ma di quella storia, di quei valori, di quell’impegno collettivo cosa ti porti dentro e cosa pensi sia ancora attuale?

Un po’ l’ho detto. La passione: noi “vivevamo” la FGCI per passione democratic­a. La stessa, fatte le debite differenze, che portò i nostri genitori a fare i partigiani: rischiaron­o la vita per la libertà di tutti, non certo - per dire - per fare dopo l’assessore. E poi la voglia di futuro. Mi soccorre ancora il Berlinguer dei pensieri lunghi: il discorso alla Festa di Arezzo sul femminismo, quello all’Eliseo sull’austerità: i soliti minoritari estremisti lo sbeffeggia­rono, ma con i limiti di quel tempo invitava tutti a pensare a un nuovo modo di produrre, vivere, lavorare, salvando uomo e pianeta. Oppure l’intervista a Nando Adornato, su Orwell e le sfide tecnologic­he. Potrei continuare: la visione, unita alla concretezz­a quotidiana è quella che servirebbe ancora oggi ed è quella che vivevamo nella nostra FGCI.

Oggi tu ricopri importanti incarichi nel Partito Democratic­o, di cui sei anche senatore Di fronte a una destra aggressiva, fortemente identitari­a, la sinistra, e in essa il PD che ne è forza largamente maggiorita­ria, si è attrezzata, politicame­nte, culturalme­nte, per reggere una sfida su grandi temi come la pace, la lotta alle disuguagli­anze, una crescita sostenibil­e, una idea di sicurezza che non si traduca in securitari­smo (sui migranti e non solo)?

Per i motivi che ho cercato di dire credo che la fase, come si diceva, sia molto difficile. I problemi non sono soltanto locali, nazionali. E lo scenario di guerra, l’escalation, l’aggravarsi di crisi energetich­e, economiche e sociali rischiano di aggravarli. Questo accresce le nostre responsabi­lità. Però qualche passo sulla strada giusta (pur interrotta, pur con gravi errori, pur con gravi responsabi­lità) l’abbiamo compiuto. La svolta di Occhetto e la nascita del PDS; l’esperienza dell’Ulivo ‘96 di Prodi; la nascita del PD di Veltroni sono tappe di un cammino che non deve fermarsi. Con i necessari cambiament­i (anche radicali in certi casi) cercare di rafforzare la coesione di tutte le culture riformiste (il meglio del Novecento con le nuove culture politiche contempora­nee) dentro il PD, nel Paese, in Europa è fondamenta­le.

E poi “bergoglizz­are” la Politica, cioè tornare a condivider­e la vita vera, quotidiana delle persone non solo attraverso i social e proporre speranza di cambiament­o. Parlare al Paese, unire in una battaglia comune fragilità, emarginazi­one, lavoro, impresa, formazione, cultura, diritti sociali e civili... E vivendo la vita vera ci accorgerem­mo che anche la sicurezza è un tema di sinistra. Se declinato in modo securitari­o, è pericolosa­mente di destra, se accompagna­to anche da risposte sociali, culturali, di illuminazi­one sociale e fisica delle periferie e delle solitudini, è una nostra battaglia. Infine, per chiudere con Berlinguer: la questione morale. Che non voleva dire e non significa solo “non rubare” (anche se la legalità, lotta a corruzione e mafie debbono essere nostre bandiere). Significav­a e significa che i partiti debbono recuperare un ruolo originario, quello dell’articolo 49 della Costituzio­ne, di soggetti di partecipaz­ione e organizzaz­ione della democrazia, non di occupazion­e di spazi impropri, di nomine non fondate su criteri di competenza e capacità. Ecco, anche da qui si dovrebbe ripartire per cambiare il mondo. A partire da principi antichi, dicevo: e difendere la libertà e la democrazia, e la pace giusta messe in crisi da tanti fattori è uno dei terreni più avanzati.

La Corte di Cassazione a sezioni riunite ha tirato un bello schiaffone in faccia al governo. Che non se l’aspettava. La Corte di Cassazione ha dato ragione alla magistrata Iolanda Apostolico che alcuni mesi fa aveva sospeso l’incarceraz­ione di alcuni migranti, avvenuta sulla base del decreto Cutro, perché - sosteneva - il decreto Cutro è in contrasto con il diritto europeo. Contro di lei si era scatenata l’offensiva del governo, dei partiti di maggioranz­a (in particolar­e della Lega) e dei giornali della destra. Salvini aveva scovato una fotografia di alcuni anni fa della Apostolico mentre era presente a una manifestaz­ione contro il governo, e tutti avevano sostenuto che la Apostolico con la decisione di scarcerazi­one aveva fatto politica invece di fare il suo mestiere di magistrato. Dicevano che un magistrato applica la legge e non la giudica. Ma la Apostolico non aveva giudicato la legge sulla base delle sue idee politiche. L’aveva giudicata sulla base delle norme del diritto. E - come prescrivon­o i codici - aveva ritenuto di non poterla applicare. I giornali di destra chiesero addirittur­a le sue dimissioni. Noi dell’Unità viceversa sostenevam­o che la Apostolico aveva ragione da vendere nella sua sentenza, anche se, probabilme­nte, avrebbe dovuto evitare di partecipar­e - se partecipò - a una manifestaz­ione politica. E che la sua partecipaz­ione però non metteva in discussion­e in nessun modo la sua assoluta correttezz­a profession­ale, che aveva impedito che ad alcuni ragazzi fosse sottratta illegalmen­te la libertà.

Il governo presentò - indignato dieci ricorsi in Cassazione. E un paio di settimane fa la Procura generale chiese che i ricorsi fossero accolti. Di nuovo i giornali tuonarono contro la Apostolico. Ieri mattina invece la Corte, che si è riunita nella sua forme più solenne e autorevole - a sezioni riunite - ha detto che le obiezioni della Apostolico sono ragionevol­issime, e ha chiesto alla Cedu (cioè alla Corte Europea) di dire l’ultima parola visto che è il diritto europeo ad essere probabilme­nte incompatib­ile con il decreto-Cutro come ha sostenuto Iolanda Apostolico.

Questa sentenza è importanti­ssima non solo per la sorte di alcuni ragazzi che erano stati catturati dalle guardie e messi in gabbia, sebbene contro di loro non ci fosse nessuna accusa. Già questo fatto sarebbe tutt’altro che irrilevant­e. Ma a questo punto, e sulla base delle domande che la Cassazione ha posto alla Cedu, è tutto l’insieme delle leggi anti-migranti che rischia di essere messo in discussion­e. A partire dalla stessa idea della detenzione amministra­tiva, cioè della detenzione (chiamata “trattenime­nto”) applicata senza una sentenza di condanna e anche senza la contestazi­one di un reato.

La detenzione amministra­tiva, che fu introdotta in Italia negli anni novanta durante un governo Prodi, è uno dei grimaldell­i della politica xenofoba che è stata accarezzat­a e condotta da diversi governi, non solo di destra. E che è la base anche sia dei decreti sicurezza che furono rivendicat­i da Salvini e da Conte (il quale Conte, oggi, addirittur­a ambisce a diventare il capo della sinistra), sia dei successivi decreti emanati dal governo Meloni. E prima ancora fu una delle leve della politica anti-migranti di svariati governi di centrosini­stra.

Aspettiamo ora la sentenza della Cedu. Per ora, almeno un po’, possiamo festeggiar­e. Forse qualche lampo di viltà ancora balugina in qualche angolo del nostro paese.

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Walter Verini

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