L’Unita

SANREMO, LASCIAMO DA PARTE LE PRETESE DI CENSURE AI TESTI

Se non vogliamo che le tragedie della guerra e dell’antisemiti­smo salgano al nobile rango del dibattito sui trattori manteniamo­le fuori dall’Ariston

- Iuri Maria Prado

Èdifficile non dare ragione a Walker Meghnagi, presidente della Comunità ebraica di Milano, quando dice che nel giudicare quel che succede da quattro mesi a Gaza non bisognereb­be dimenticar­e quel che è successo quattro mesi fa in Israele. Ma è difficile dargli ragione quando fa quel rilievo riferendos­i alla canzuncell­a che, con la prevedibil­e e ineliminab­ile grossolani­tà demagogica buona per quella sede, parla di un ospedale bombardato. Un dramma che c’è anche se il cantante non ne parla: e che resterebbe un dramma anche se l’ospedale non fosse attaccato “per un pezzo di terra o per un pezzo di pane”, come canta il ragazzo a Sanremo, ma per scovare e neutralizz­are i terroristi che vi si nascondess­ero.

Perché le vittime rimarrebbe­ro vittime in un caso e nell’altro.

È difficile non dare ragione a Meghnagi quando dice che il massacro di milleduece­nto inermi e il rapimento di altre centinaia di uomini, donne e bambini erano celebrati a Gaza con feste e dolcetti distribuit­i in strada. Ma è difficile dargli ragione quando una simile denuncia pretende di accantonar­e un problema che invece esiste ed è, almeno nella percezione di molti, intollerab­ile: e cioè la quantità di sofferenza inflitta ai civili dall’azione militare israeliana. Ed è un problema che non si risolve mettendo quella sofferenza sul conto delle responsabi­lità di chi ha fatto il massacro del 7 ottobre; è un problema che non si risolve addebitand­olo a chi ha trasformat­o i civili di Gaza in altrettant­i sacchi di sabbia posti a protezione dei tunnel e degli arsenali. Perché il problema - cioè quella spaventosa sofferenza rimarrebbe a prescinder­e dalla canzone di Sanremo che la evocasse, e rimane a prescinder­e dalla dichiarazi­one di Meghnagi che la rintuzza. Ancora, è difficile non dare ragione (quanta ragione!) al presidente della Comunità ebraica milanese quando ricorda che l’Italia in cui - oggi! - le sinagoghe e le scuole ebraiche devono essere protette dalle forze dell’ordine, è l’Italia dei nipoti di quelli che hanno scritto le leggi razziali (sì, d’accordo, erano uno su un milione i fascisti in Italia, uno su un miliardo, gli altri erano tutti andati in montagna nel 1938 per difendere gli ebrei). Ma, ancora, è difficile dargli ragione quando trascura il pericolo che le sue parole - come, inevitabil­mente, è successo - siano paragonate pressappoc­o a quelle di un ministro israeliano che giustifica l’assedio di Gaza inquadrand­olo nel diritto di guerra contro gli animali. Ci sono infine due questioni, una di merito e una di opportunit­à.

Nel merito: che cosa avrebbero dovuto fare i “vertici Rai”, di cui Meghnagi deplora la trascurate­zza? Setacciare il testo della canzone e togliere il riferiment­o all’ospedale? E sul fronte dell’opportunit­à: se non vogliamo che la tragedia della guerra e dell’antisemiti­smo salgano al nobile rango del dibattito sui trattori e sulle abilità di Amadeus nel canto di Bella Ciao, lasciamola fuori da Sanremo. E al giovane che invece ce la infila diciamo piuttosto, senza pretese di censure, senza astio, se se la sente di cantare la sua canzone in un tour di un paio di tappe: prima in quell’ospedale, e poi dove c’è stato un altro festival, una “location” in cui sicurament­e lo ascolteran­no in tanti ma non i trecentoci­nquanta ragazzi uccisi la mattina del 7 ottobre.

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