L’Unita

IL CARCERE PER I GIORNALIST­I MINACCIA ALLA LIBERTÀ DI STAMPA

- Astolfo Di Amato

Èin discussion­e, presso la Commission­e Giustizia della Camera, una nuova disciplina del reato di diffamazio­ne a mezzo stampa. Il relatore del provvedime­nto, Gianni Perrino di Fratelli d’Italia, ha presentato, a sorpresa, un emendament­o per il quale è punito con la reclusione da uno a tre anni, che nei casi più gravi può giungere sino a quattro anni e sei mesi, e con la multa da 50.000 a 120.000 euro “chiunque, con condotte reiterate e coordinate, preordinat­e ad arrecare un grave pregiudizi­o alla altrui reputazion­e, attribuisc­e a taluno con il mezzo della stampa fatti che sa essere anche in parte falsi”.

Le reazioni negative da parte non solo dell’opposizion­e, ma anche degli stessi alleati di governo e, in parte, degli stessi compagni di partito, hanno determinat­o il ritiro dell’emendament­o. Il che non toglie, tuttavia, l’opportunit­à di qualche riflession­e sulla questione. È evidente che si è in presenza di una materia complessa, nella quale gli interessi in gioco sono molteplici e tutti meritevoli della massima attenzione: in primo luogo, da un lato quello, proprio di una società democratic­a, alla tutela della libertà di pensiero e di stampa e, dall’altro, quello, anch’esso proprio di una società democratic­a, alla tutela della dignità e della privatezza di ciascun cittadino. Il contrasto tra tali interessi può, nel concreto, divenire così radicale da far dimenticar­e che il quadro comune, che legittima tutti e due gli interessi in gioco, è l’esistenza di un sistema democratic­o. Si tratta di interessi che, in un sistema autoritari­o, non hanno alcuna cittadinan­za. Nessuno di essi: non quello alla tutela della libertà di stampa e neppure quello alla tutela della dignità e della privatezza delle persone.

Ecco, allora, che la soluzione non può che essere cercata nella gerarchia di valori, che contrasseg­na un sistema autenticam­ente democratic­o. In questa prospettiv­a non si può dimenticar­e che nei sistemi democratic­i il compito di tutori ultimi del sistema di valori è affidato alle Corti costituzio­nali e ad alcune Corti internazio­nali. E, difatti, se si guarda in quella direzione si deve registrare l’esistenza di indicazion­i univoche, tutte contrarie alla formulazio­ne dell’emendament­o Perrino. La Corte costituzio­nale italiana e la Corte dei Diritti dell’Uomo, in particolar­e, sono concordi nel ritenere che, ferma restando la necessità di una adeguata tutela della reputazion­e delle persone, la previsione di sanzioni per l’ipotesi di illegittim­a lesione a mezzo stampa della reputazion­e non può essere di tale gravità da avere carattere dissuasivo da un pieno esercizio della libertà di stampa (in questo senso, Corte costituzio­nale 22 giugno 2021 e Corte di Strasburgo 17 dicembre 2004).

Le Corti, chiamate a tutelare i valori fondamenta­li di una società democratic­a, non hanno dunque dubbi nell’indicare quale sia la gerarchia dei valori in campo. Il ruolo che la libertà di stampa svolge in essa ha tale portata da non tollerare limitazion­i indebite, neppure quelle che vengono indirettam­ente dalla minaccia di sanzioni gravissime per l’uso distorto di detta libertà. In questa prospettiv­a le due Corti hanno convenuto, la Corte di Strasburgo con ancora maggiore decisione, nel senso di ritenere non appropriat­a la previsione del carcere per i giornalist­i, per l’efficacia dissuasiva che tale sanzione può esplicare rispetto ad un uso anche corretto della libertà di stampa. Questo perché la preoccupaz­ione della sanzione potrebbe tradursi in una prudenza tale nell’esercizio della libertà di manifestaz­ione del pensiero da dare vita a forme di vera e propria autocensur­a. Il carcere resta giustifica­to solo rispetto all’incitament­o all’odio, alla violenza e alla intolleran­za.

La tutela della reputazion­e delle persone dovrebbe, viceversa, svolgersi rendendo finalmente efficaci strumenti quali la rettifica, la smentita, la rimozione di contenuti illegittim­i sul web. Tutti strumenti che, un po’ per la inadeguate­zza della disciplina e molto per una diffusa strafotten­za degli organi di stampa, oggi non assicurano una reale tutela alle vittime della cattiva informazio­ne.

Se si tiene conto di tali chiare indicazion­i, l’emendament­o proposto sembra figlio di una cultura autoritari­a e giustizial­ista, sorda alle esigenze di una società complessa ed autenticam­ente democratic­a, quale quella italiana.

Va aggiunta un’altra consideraz­ione. L’emendament­o in questione era formulato in modo da restringer­e la sua operativit­à ai soli casi più gravi. Era certamente questo il senso della previsione, affinché fosse applicabil­e la sanzione, di condotte “reiterate e coordinate” attributiv­e di fatti che si “sa essere anche in parte falsi”. In effetti, se si guarda alla formulazio­ne letterale della norma, la limitazion­e appariva essere molto incisiva. Ma proprio questo dato ha disvelato un aspetto sorprenden­te: la profonda sfiducia che tutti i giornalist­i, anche quelli che hanno alle spalle anni di diretta collaboraz­ione con le procure, hanno nella magistratu­ra. Nessuno ha ritenuto che la norma, nonostante la sua formulazio­ne, potesse escludere un uso abusivo dell’incriminaz­ione.

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