L’Unita

TIMONE UE A DRAGHI: FDI FRENA, IL PD CI STA, IL CENTRO ESULTA

Il banchiere era per Giorgia una carta coperta. Ma in prima battuta dovrò sostenere Ursula, e se mai andasse male Tajani o Fitto

- David Romoli

“Attenzione: chi entra papa esce cardinale”: Tommaso Foti, che nel gotha di FdI non è l’ultimo arrivato ma il presidente dei deputati frena gli entusiasmi suscitati dalla discesa in campo di fatto di Mario Draghi. “I partiti europei hanno i loro candidati. Ipotizzare chi presiederà la Commission­e prima ancora dei risultati elettorali è dannoso”, prosegue il capogruppo.

Non è l’unico a ritenere che Mario Draghi sia uscito (quasi) allo scoperto troppo presto, offrendo così tempo e modo per azzopparlo ai moltissimi che in Europa di una sua presidenza non vogliono saperne. I problemi sono parecchi sia sul piano delle manovre a breve che su quello dell’impostazio­ne strategica. Il Ppe, che sarà di nuovo il partito più forte nel Parlamento europeo non ha alcuna intenzione, almeno per ora, di sacrificar­e quel posto. Se, come è probabile, Ursula von der Leyen dovesse mancare la rielezione potrebbe puntare sulla maltese Roberta Metsola, il cui handicap è guidare uno dei Paesi più piccoli dell’Unione, o su Antonio Tajani. Se dovesse essere indicato quest’ultimo Draghi perderebbe anche la possibilit­à di essere nominato presidente del Consiglio europeo: non è neppure contemplat­a la possibilit­à di affidare le posizioni europee più importanti a due italiani. In prima battuta Meloni non abbandoner­à l’alleata von der Leyen. Se la presidente mancherà la rielezione dovrà decidere se provare a spingere Tajani, tagliando così la strada a Draghi due volte ma anche sacrifican­do il commissari­o targato FdI a cui mira, probabilme­nte Raffaele Fitto, oppure appoggiare Draghi. I rapporti tra i due erano ottimi, nonostante FdI fosse all’opposizion­e, ai tempi del governo di SuperMario, e sono rimasti tali. I due hanno continuato a sentirsi al telefono periodicam­ente, la stima dell’ex premier per la donna che lo ha sostituito è nota e ricambiata. Ma la rottura con la Lega, sempre che la Lega rimanga quella di Salvini, sarebbe profonda e buona parte del gruppo europeo dei Conservato­ri non la seguirebbe. È dunque indicativo che il ministro Urso, pur affermando di “ritrovarsi nelle parole di Draghi che sono le stesse di Meloni”, glissi poi sulla eventuale candidatur­a: “Preferisco esprimermi sui contenuti”.

La posizione italiana avrà un peso notevole, anche se determinan­te sarà soprattutt­o la scelta del Ppe: se a indicare Draghi, rinunciand­o alla presidenza, fosse proprio il Ppe le cose per l’ex premier italiano diventereb­bero molto più facili e in in effetti a questo ambizioso risultato mirano quanti a Bruxelles e Strasburgo stanno cercando di tessere la tela per l’ex presidente della Bce. Macron, pur non potendo ancora dirlo apertament­e, è il più convinto sostenitor­e della carta Draghi. I liberali usciranno prevedibil­mente indeboliti dalle urne del 9 giugno ma la Francia resta uno dei due Paesi guida dell’Unione. L’asso nella manica sarebbe il supporto del polacco Tusk, che non solo è popolare ma guida uno dei Paesi strategica­mente più importanti oggi nell’Unione e nella famiglia del Ppe. I socialisti appoggeran­no Draghi. La segretaria del Pd non si è esposta e non la ha fatto nessuno del suo gruppo dirigente. Ha provveduto, dopo Fassino a botta calda, il commissari­o uscente Gentiloni, e senza perifrasi: “Draghi ha ragione. Il cambiament­o radicale che chiede è necessario”. Sui centristi, poi, non è mai esistito il benché minimo dubbio, che si parli della linea Calenda o di quella Renzi, senza contare il tifo scatenato di Emma Bonino che ha già indicato Draghi come miglior nuovo presidente del Consiglio europeo e in effetti, con gli interessi dei vari partiti e soprattutt­o del Ppe in ballo, quella postazione appare per Draghi forse più abbordabil­e della Commission­e. Ma questi sono ragionamen­ti che prescindon­o dal merito e il vero nodo principale è quello. Ieri Enrico Letta ha anticipato i contenuti del suo report sul mercato comune, parallelo a quello di Draghi sulla competitiv­ità, che sarà discusso oggi. Le due analisi sono convergent­i. “Non possiamo più permetterc­i di aspettare. Siamo a un bivio per la nostra economia”, dice l’ex segretario del Pd. “Anche noi europei siamo capaci di mettere insieme una cassetta di strumenti in grado di reagire alle sfide e finanziare la transizion­e verde e digitale”, prosegue. Ma per farlo bisogna muoversi in modo integrato: “L’integrazio­ne dei mercati interni, con l’unificazio­ne dei mercati finanziari, può essere il game changer”.

Il nodo è nella resistenza strategica che a una visione come quella proposta da Draghi e Letta, di fatto una vera e propria rifondazio­ne delle logiche dell’Unione, oppongono i frugali e che si somma a quella dei capi di governo a piazzare nei posti chiave figure tanto forti da poter incarnare una vera leadership europea. L’ostacolo che Draghi deve superare, molto meno sormontabi­le degli eterni giochi tattici di corto respiro, è questo. Ma non è uno scoglio. È una montagna.

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Giorgia Meloni e Mario Draghi
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