LAGUNA verde
AL CENTRO DELL’ARCIPELAGO VENEZIANO UN ORTO FUORI DEGLI SCHEMI E UN HOTEL DI LUSSO SONO SEPARATI DA UN MURO. CHE NON DIVIDE MA UNISCE
Sono passati quasi dieci anni da quando il collettivo SpiazziVerdi, capitanato dal pirata “green” Michele Savorgnano, è approdato e ha messo radici sull’isola della Giudecca a Venezia. Tutto nella legalità, ovviamente, perché la prima regola è non infrangere le regole. Su mezzo ettaro di terreno incolto di proprietà di una casa di riposo, l’IRE (Istituto di Ricovero e di Educazione), è sorto l’Orto delle Zitelle. Un posto incantato, un po’ difficile da decifrare al primo sguardo: orto, giardino, vigneto? Ci si perde tra i filari delle viti, le verdure e le decine di fiori, mescolati, meglio ancora consociati, in un disegno naturalmente armonico. Tutto è coltivato (o non coltivato, dipende dai punti di vista) con la permacultura, un sistema produttivo in grado di sostenersi e rinnovarsi da solo nel tempo. Tutto si ispira alla filosofia giapponese di Masanobu Fukuoka, pioniere dell’agricoltura naturale basata su un concetto: il Mu, il non fare. Che non si faccia nulla è difficile da credere, vista la quantità di volontari che frequenta l’orto, armati di paletta, di entusiasmo e di cestini per il raccolto.
Una volta diversi ristoranti della zona venivano qui a «fare la spesa». Da quest’anno invece tutta la produzione ha un solo importante cliente, il Belmond Hotel Cipriani, diviso dall’orto solo da un muretto, unito dall’amore per le cose fatte con estrema cura. Davide Bisetto, il cuoco del ristorante Oro all’interno dell’hotel (una stella sulla guida Michelin), è un frequentatore assiduo del prato del vicino, che se non è più verde, di sicuro è più ricco di specie vegetali. La sua mirabolante biodiversità è la prima garanzia della genuinità dei prodotti: «Non ariamo, non usiamo nessun concime chimico, nessun diserbante, nessun antiparassitario», dice Michele Savorgnano, «perché, se le piante entrano in sinergia fra loro, si creano le compensazioni necessarie a far funzionare tutto».
Qui ogni cosa si può mangiare, anche i fiori, ai quali viene dedicata un’attenzione particolare. Malvoni, lavanda, emerocallidi, nasturzi, fiordalisi, garofani... senza contare quelli degli ortaggi e delle erbe aromatiche, rosmarino, timo, salvia, menta, basilico (ne coltivano più di 12 varietà), maggiorana, origano.
I principi della non-azione prevedono che le sementi vengano acquistate il meno possibile, scambiate con quelle di altri vivai e per la maggior parte autoprodotte. Come? Lasciando «andare a seme», a rotazione, una parte di orto: invece di raccogliere fiori e frutti si lascia che il ciclo produttivo della pianta si completi, cioè si formino i semi al fine della riproduzione. Per questo è possibile ammirare le infiorescenze di varietà botaniche di cui, forse, non si immaginava neanche che esistesse il fiore. Ognuno di questi ha un sapore e una consistenza speciali, che si possono gustare nelle ricette preparate da Davide Bisetto. Leggendo il menu del ristorante si trova in ogni piatto un’incursione vegetale: non un semplice decoro, ma una parte fondamentale della ricetta. Come nelle Camocchie in ceviche marinate con i delicati fiori del coriandolo (Coriandrum sativum), nel burro con petali di cosmea (Cosmos bipinnatus) che insaporisce i Casunziei di rapa di Chioggia alla cenere e tamarindo, nel dolce Miellefiori, un gelato al miele di acacia e decine di petali di fiori diversi.
Nell’Orto delle Zitelle si coltivano più di 400 specie tra erbe, fiori, ortaggi e alberi da frutto, e l’attività continua in tutte le stagioni. Anche adesso, che inizia l’autunno, lo spettacolo che offre a chi ha la fortuna di andarlo a vedere è emozionante: i cachi stanno per maturare, le piante dei carciofi violetti prendono di nuovo vigore, le insalatine multicolori e tutti i fiori sono ritemprati dopo il caldo estivo. Con la bellezza, c’è l’energia che questo posto emana: qui non si coltiva solo la terra, ma anche la condivisione, la solidarietà, la cultura, il rispetto e il piacere di lavorare insieme. Un patrimonio da sostenere e far rifiorire, magari per gemmazione.