Storie di famiglia
UN’IMPRENDITRICE RACCONTA LA SUA RICETTA DEL SUCCESSO. INGREDIENTI: FARINA DI KAMUT E LIEVITO MADRE (TUTTO BIO). PIÙ UN TOCCO DI ROSSETTO
La figlia del mugnaio. Chiara Rossetto e il successo delle farine di famiglia
Sul suo blog personale, Un tocco di Rossetto, si definisce una «creativa delle farine». Sto chiacchierando con Chiara Rossetto solo da qualche minuto, e non posso che darle ragione. Questa vulcanica signora patavina che scrive ricette, tiene corsi di cucina e ha creato una linea di tessili per la casa, è l’amministratore delegato, con il fratello Paolo, della Molino Rossetto, e ha avuto il merito di trasformare una piccola azienda familiare in una grande eccellenza. Ma anche di aver portato una certa dose di femminilità in un mondo molto maschile e forse un po’ monotono... Tutto è nato, sembra, da una torta mantovana. «Mia madre da piccola mi faceva impastare con lei dolci buonissimi. Mai avrei pensato che da quei gesti casalinghi sarebbe “germinato” il mio lavoro del futuro. E pensare che dovevo fare la ragioniera!». Ma la ragioneria che cosa c’entra con le farine? «Mio padre pensava che fosse giusto così. Voleva che, dopo il diploma, mi occupassi di sbrigare le faccende burocratiche. Io però, che sono cresciuta in una famiglia di mugnai dal 1760, giocando tra i sacchi di farina, in ufficio mi annoiavo da morire. Per fortuna è arrivata la crisi». Dunque la sua è anche una di quelle belle storie di resilienza che danno fiducia nel futuro? «Sul finire degli anni ’90 la farina non si vendeva bene. Gli scaffali dei supermercati ne erano pieni. Prodotti omologati, tutti uguali, anche nelle confezioni. Chiamavo i distributori senza successo. Poi andai a una fiera e mi resi conto di come i consumatori fossero attenti, e cercassero prodotti diversi, di qualità. Allora ebbi la prima intuizione: la farina di kamut. Fummo i primi a venderla in Veneto, al di fuori dei negozi biologici. Un successo». Non vi siete certo fermati alle farine... «Oggi vendiamo circa 200 tipologie di prodotti, tra farine, grani e preparati per dolci, pane e focacce. Oltre a Molino Rossetto contiamo altre due marchi: Cuore di, con prodotti destinati alle gastronomie, e Fior di Molino, per gli ipermercati low cost. E siamo distribuiti in 13 paesi, dagli Usa al Qatar». Kamut a parte, qual è il prodotto che vi rappresenta meglio? «Ce n’è più di uno. Le farine macinate a pietra e il lievito madre essiccato, per esempio. Siamo stati i primi a commercializzarli su larga scala. E poi i cosiddetti “grani antichi”, che si coltivavano fino a due secoli fa, come il farro e il grano duro Senatore Cappelli». Come saranno le farine del futuro? «Sempre più proteiche, a metà tra l’integrale e il raffinato, e soprattutto bio. La folgorazione l’ho avuta in Ecuador. Mi trovavo lì per Oxfam (un ente non profit con cui l’azienda collabora da due anni, ndr). Nel 2015 avevo incontrato alcuni loro funzionari che mi coinvolsero in un progetto in Sudamerica. Iniziarono a parlarmi di quinoa e amaranto, i chicchi delle Ande. Mi sono entusiasmata. Poi tra i campi, con le contadine del posto, ho anche capito che cosa significhi davvero “biologico”». Qualcosa che ci fa bene...? «Non si tratta solo di questo, ma anche di non forzare la terra a fare quello che vogliamo con prodotti chimici. Quando sono tornata ho convinto mio padre a convertire le nostre coltivazioni». Come si fa il «grande salto»? «Con la curiosità. Una caratteristica tutta femminile. Non a caso in ufficio siamo in 20, quasi tutte donne. Ci divertiamo molto a sperimentare ricette, e a lanciare prodotti nuovi. Gli ultimi nati sono i Kids, una linea di cereali per i bambini». Siete molto attenti ai bambini e aprite l’azienda alle scuole: perché? «Le nuove generazioni vanno educate anche a tavola, facendo capire come nasce un prodotto di qualità. Deve vedere che sguardi di sorpresa quando scoprono come da un chicco spunti una piantina. Per loro è una magia». E il famoso Molino Rossetto esiste davvero? «Certo, è a Pontelongo, vicino a Padova. Ma non è più quello di una volta. Ora abbiamo macine industriali ipertecnologiche, anche a pietra. Andiamo avanti, portandoci sempre dentro la nostra storia». Un’ultima curiosità: è vero che gira con un cucchiaino d’argento nella borsa? «Sì, lo conservo in una piccola fodera di tessuto cucita da me e lo uso quando vado al bar, per il mio rito mattutino del cappuccino. Sa, adoro i piccoli lussi quotidiani».
«Da piccola aiutavo mia madre a impastare i dolci. Non avrei mai pensato che il mio lavoro di oggi stesse “germinando” lì»