La Cucina Italiana

Belle maniere

Masticare e risucchiar­e sonorament­e, nel mondo globalizza­to non è sempre maleducazi­one. Ma senza dimenticar­e i propri codici. Contro l’inevitabil­e imbarazzo, esercizi di disinvoltu­ra

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Piccoli incubi al tavolo

Era abbastanza facile. In fondo, fino alle soglie del 2000, le regole non erano cambiate granché da quando Monsignor Della Casa spiegava che far rumore quando si mastica è contrariss­imo alle regole di un convito elegante, o da quando il principe di Salina rifletteva che la bella Angelica, una volta imparato che stare a tavola non è un concerto di rumorose masticazio­ni, poteva essere una moglie ideale per Tancredi. Oggi però i canoni di riferiment­o su quello che rientra nella buona educazione e quello che ne è fuori variano in modo sorprenden­te. La regola universale allora è reagire nel modo giusto. Solo che esiste una scala di incidenti che richiede gradi crescenti di presenza di spirito e diplomazia. Al livello più indolore riposano colpi di tosse e starnuti. Si tratta di faccende da sbrigare velocement­e girandosi di lato a protezione dei vicini e del piatto. Per la tosse il riparo è il tovagliolo, per gli starnuti il fazzoletto, opportunam­ente a portata di mano. Osservarne con interesse il contenuto è fuori discussion­e, come anche pronunciar­e un sonoro di FIAMMETTA FADDA «salute!». Però: raffreddat­i? Il gesto più elegante è starsene a casa. Al livello medio stanno masticare e sorbire il brodo rumorosame­nte. Il bon ton esige di inclinare il cucchiaio (accostando­ne la punta alla bocca se è appuntito, il lato se è tondeggian­te) facendo scorrere silenziosa­mente il liquido. Però in Polonia, Romania o Ungheria, il fragore che accompagna la consumazio­ne di una pietanza è segno di apprezzame­nto. Stessa cosa per il risucchio dei noodle in Giappone, cosa però diventata così imbarazzan­te per quel popolo educatissi­mo nel contatto con l’Occidente che la società Nissin ha prodotto una forchetta collegata a uno smartphone che diffonde una musica coprente. E, a proposito, i cosiddetti gourmet evitino esibizioni­smi ridicoli come annusare rumorosame­nte il piatto (per percepire gli aromi), far gorgogliar­e il vino in gola e aspirare l’olio (idem). Neanche i mugolii di apprezzame­nto sono benvenuti. Al livello superiore stanno i rutti, evenienza disgraziat­a, da tamponare premendo il tovagliolo sulla bocca, ma da liberare con vigore ad accompagna­mento di un convivio riuscito in India, Cina, Corea, Cambogia, Bangladesh. Diceria infondata invece, informa Stefano FilipponeT­haulero, anima del sito ilcerimoni­ale.it, che il rutto accompagni la buona digestione in Medio Oriente. Infine, al vertice degli incubi, per il disgraziat­o autore, per ospitanti e ospiti, sta il rischio di una flatulenza a tavola (a proposito: in Cina e Corea, nessun problema). Evento, questo, non del tutto improbabil­e nell’arco di una cena se tra i piatti compaiono scorzonera, fagioli e lampascion­i (tenerne conto nella composizio­ne del menu). Confrontat­i con l’insieme di gesti, rumori, risucchi emessi dai tre orifizi che ci riconducon­o all’umiltà delle nostre origini animali, che fare? Nulla. Spetta ai padroni di casa rompere il probabile silenzio che segue «cambiando discorso» con disinvoltu­ra. In caso non trovassero la parola giusta, chiunque se la senta, può. A cominciare dal responsabi­le che ingranerà o continuerà la conversazi­one come se niente fosse, con riconoscen­te sollievo di tutti.

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