Editoriale
Evi ho preparato un dashi, un brodo giapponese che fa da sfondo a molti dei piatti che poi troviamo nei sushi bar d’Occidente. Mi direte voi, cosa c’entra parlare di Giappone quando siamo La Cucina Italiana? È una questione di palato, accetto tutto quello che mi fa crescere anche se non è italiano. Accolgo ingredienti sconosciuti, in fondo lo erano anche le patate e i pomodori dopo la scoperta dell’America. Del resto, siamo un popolo di viaggiatori, siamo figli di Cristoforo Colombo e di Marco Polo. E allora perché non importare le nostre esperienze in tavola? Perché non possiamo assaggiare pietanze inconsuete e poi farle nostre (come succede in mezzo mondo con le nostre pizze e i nostri mangiari)? All’inizio del ’900 i giapponesi hanno individuato un sapore tenue come l’umami, lievemente sapido e affumicato, delicatissimo. Andare a Kyoto e identificarlo è come disegnare per la prima volta un acquerello. Poco potente, poco definito ma è l’origine di una sensibilità più fine, di una sfumatura che ora sai leggere sul palato e tracciare sul foglio. Provate a preparare il dashi, gli ingredienti si trovano facilmente anche in Italia, provate quel momento che assomiglia a una nuova avventura. Per un buongustaio è il principio di una diversa consapevolezza. E magari di un viaggio. P.S. Per coincidenza, la colomba realizzata da Nicolò Moschella e l’uovo della copertina di Nicola Di Lena sono stati decorati dalla giapponese Sachiko Ito. La filosofia che ci guida dal 1929 Ogni piatto nasce dalla nostra cucina in redazione, una cucina di casa proprio come la vostra. Un cuoco lo pensa e lo realizza, e un redattore ne segue tutti i passaggi, per raccontarvi nel dettaglio che cosa dovrete fare per replicarlo. E dopo averlo fotografato lo assaggiamo e verifichiamo che sia all’altezza delle vostre aspettative.