Cosa si mangia in Georgia Benvenuti in Paradiso
Paesaggi e città da fiaba, gente aperta e generosa, sacre tradizioni e riuscite novità nella cucina più gioiosa dell’Asia anteriore. Tra il Mar Nero e il Caucaso c’è un tesoro di gusto. Benedetto dai vini più antichi del mondo
C’è una terra remota, ma non troppo, che quando il mondo fu creato pescò dal mazzo il jolly: mari, montagne, verdi colline e fertili pianure striate di fiumi e punteggiate di sorgenti miracolose. Ritrovatisi in quel paradiso terrestre, i suoi abitanti aggiunsero la ciliegina sulla torta: schiere di filari colmi di succosi chicchi d’uva. E fu così che, oltre ottomila anni fa, in Georgia gli uomini si cimentarono per la prima volta nell’arte del vino. A testimoniarlo, la recente scoperta di una cantina in un villaggio neolitico nella provincia di Kvemo Kartli, poco lontano dalla capitale Tbilisi, straordinaria città abbarbicata sui colli e tagliata in due dal fiume Kura, che nasce nel Caucaso e muore nel Caspio, 1515 chilometri dopo.
Narra la leggenda che a fondare Tiflis – altro nome con cui è conosciuta Tbilisi – fu il re Vakhtang Gorgasali, che un bel giorno di un millennio e mezzo fa, durante una battuta di caccia, lanciò il suo falcone all’inseguimento di un fagiano. Cosa accadde di preciso non è dato sapere, fatto sta che entrambi i pennuti rovinarono al suolo, stecchiti, nei pressi di una sorgente di acqua calda. Impressionato dalla vicenda, re Vakhtang prese la solenne decisione: «La capitale della Georgia sorgerà qui».
La Tbilisi di oggi è pura magia, non assomiglia a niente e a nessuno e profuma di fiaba e «khachapuri», il tipico pane ripieno di formaggio, simbolo della sublime gastronomia nazionale. Nella sua versione più ricca, quella che si prepara in Agiaria (regione affacciata al Mar Nero con capoluogo la balneare città di Batumi), richiama le forme di un calzone napoletano ripieno di formaggio con al centro un uovo intero immerso nel burro fuso. Non esattamente un pasto light, ma la soddisfazione è inenarrabile. Altro piatto famoso sono i «khinkali», grandi ravioli di carne speziata (maiale, agnello o manzo), diffusi dal Mar Nero al Baltico e da mangiare rigorosamente con le mani.
Vicoli acciottolati e gradinate degne di Escher salgono e scendono a Tbilisi tra chiese, cortili e palazzi art nouveau da mille e una notte in un quadro naïf dove mancano solo i tappeti volanti. Nel frattempo re Vakhtang è passato a miglior vita, ma a dargli il cambio c’è oggi la regina Tekuna. Le sue dimore si chiamano Littera e Khasheria – un ristorante il primo, un bistrot il secondo – e il suo regno sono i fornelli. Perché Tekuna Gachechiladze è sì una regina, ma della cucina georgiana contemporanea. Show televisivi e radiofonici, pranzi e cene per presidenti e ministri, inviti in tutto il globo a presentare le sue creazioni e a insegnare i segreti del mestiere. Visto che c’era ha messo in piedi anche una scuola di cucina, Culinarium, dove si inventa imperdibili dim-sum brunch a sorpresa che annuncia dalla sua pagina facebook. In questi giorni è invece alle prese con un nuovo progetto: un ristorante-laboratorio aperto tre giorni alla settimana solo con menu-degustazione. Sui dettagli non si sbottona (i georgiani sono scaramantici), ma c’è da scommettere che entro l’estate i gourmet di Tbilisi non parleranno d’altro.
Per il momento, tuttavia, la trovate nel sensazionale giardino del Littera, a dare il benvenuto agli amici di una vita come ai nuovi clienti. Con un enorme sorriso sulle labbra e gli occhi che brillano di luce propria – quelli di chi ha l’ospitalità nel sangue. E pensare che solo qualche anno fa, dopoché rientrata da New York decise di dare una strigliata alla tradizionalissima ma immobile cucina georgiana, le piovvero addosso anatemi da tutte le direzioni. Quando poi pensò di reinventarsi lo «shila plavi» (una specie di risotto ai funghi), venne giù il mondo.
Aperta parentesi: lo «shila plavi» è un piatto tipico della «supra triste», laddove per supra – concetto base del lifestyle georgiano – s’intende il banchetto. Per quella festiva ogni occasione è buona, dall’arrivo della domenica alla visita di un parente o di un amico. Quella triste si imbandisce al termine di un funerale. In entrambi i casi, guidati dal «tamadà» di turno, il rispettato maestro di cerimonia, sarà un susseguirsi di brindisi con vino e «chacha» (l’aromatica grappa nazionale): entrambi sono i protagonisti della leggendaria provincia di Kakheti, la Toscana di Georgia, un susseguirsi di dolci colline dove si allevano uve autoctone (ne sono state identificate 524) come il saperavi, che dà vita al rosso omonimo e al semidolce kindzmarauli. La meraviglia da visitare è Sighnaghi, un antico borgo appollaiato su un colle dirimpetto al Caucaso, che al tramonto irradia poesia. Dopo averlo percorso in lungo e in largo facendo incetta di souvenir (chi ha spazio in valigia sappia che qui si producono pregiati tappeti), l’indirizzo da segnarsi è il Pheasant’s Tears, ristorante-enoteca dove il pane, che in Georgia si chiama «puri», è cotto in diretta nei tradizionali forni
di argilla circolari. Tutto intorno è un brulicare di aziende agricole dove il vino si produce ancora «alla georgiana», in enormi anfore di coccio immerse sottoterra e note come «qvevri». Nel minuscolo villaggio di Velistsikhe, la cantina Numisi è un portentoso esempio di cosa questo significhi; sta qui dal XVI secolo, così come le sue anfore, e, nonostante abbia ormai più le sembianze di un museo che della casa di un viticoltore, è in piena attività e funge anche da ristorante. Visitarla è un dovere, a patto che il gps non si smarrisca nei campi circostanti. Più semplice è raggiungere la cantina Khareba (winery-khareba.com), nell’area di Kvareli, ai piedi delle montagne che separano la Georgia da Russia e Azerbaijan. Khareba è un’istituzione vinicola le cui bottiglie sono stipate in oltre sette chilometri di profondi tunnel sotterranei, idem per le sale degustazione. Le visite guidate si richiedono all’ingresso.
Il colmo dei colmi? Nel paradiso di Bacco nasce un’acqua minerale tra le più celebri e salutari del pianeta, la Borjomi, le cui frequentate sorgenti zampillano in una pittoresca città-resort al centro del paese. Per dirla con Benjamin Franklin, se sei diretto in Georgia «chiedi consiglio al vino, ma poi togliti ogni dubbio con l’acqua».
In segno di buon augurio, agli ospiti che entrano in una casa per la prima volta si usa sempre offrire qualche cosa di dolce