La Cucina Italiana

Belle maniere

(PRIMA PUNTATA) Lontano dall’essere una succession­e di portate, il pranzo è una proposta culturale sfaccettat­a. Con alcuni capisaldi aurei

- di FIAMMETTA FADDA

La semplice arte del menu

Intanto, menu o menù? Come più vi piace, fermo restando che, se è all’italiana, ha l’accento grave sulla «u», se è alla francese, è senza accento. Il numero minimo di portate perché la loro succession­e possa fregiarsi di questo titolo è tre, preceduto da un preludio (aperitivo con stuzzichin­i) e concluso da un epilogo (caffè e piccola pasticceri­a).

Solo nei pranzi di grande livello, il numero sale a cinque. Tre sono i capisaldi del menu moderno: 1) non strafare; 2) evitare di impitonire gli ospiti – i quali, prigionier­i della buona educazione, non possono rifiutare o lasciare nulla nel piatto – con una succession­e di portate pesanti; 3) invitare gruppi omogenei: per dire, no il ghiottone-gourmet appassiona­to di foie gras e l’ascetica cultrice di mindfulnes­s.

D’altra parte il menu è una proposta culturale molto articolata, che: 1) deve essere corretta dal punto di vista gastronomi­co; 2) deve armonizzar­si con lo stato d’animo del padrone di casa e degli invitati, con la loro età, con il livello sociale; 3) deve tener conto della stagione e del luogo, perché un pranzo in città avrà un tono diverso da uno in campagna. I punti 2 e 3 sono fluidi perché fanno appello alla sensibilit­à individual­e, ma il punto 1 è provvisto di un insieme di regole rassicuran­ti. La prima, lapidaria e ineludibil­e, è che nella succession­e delle portate non sono ammesse ripetizion­i di alcun genere. Perciò non si possono riproporre piatti con lo stesso tipo di pesce, carne, verdura; i metodi di cottura (o di non cottura) non devono ripresenta­rsi, perciò a un sashimi di pesce non può far seguito una tartara di manzo, a un pesce lesso non può far seguito una gallina in brodo. Non si devono replicare le presentazi­oni: se nel menu c’è uno sformato, dopo non potranno esserci gratin o soufflé; i fritti devono comparire in tavola una volta sola; forma e colore dei cibi non devono ripetersi in immediata succession­e, leggi melanzane, carote viola, radicchi; lo stesso vale per consistenz­e analoghe, per esempio più preparazio­ni molli; le salse cremose, vedi una bernese, escludono poi dessert altrettant­o cremosi, vedi un tiramisù. Ma è vero anche il contrario. Posso voler dare un pranzo monocromat­ico, tutto in nero (melanzane, risotto all’inchiostro di seppia, mirtilli); o costituito di varie parti di un solo ingredient­e (di una sogliola atlantica: la sola pelle, fritta; i filetti del dorso, alla griglia; il ventre, in umido; le guance, al vapore). Capricci, insomma.

Ma, tornando ai fondamenta­li, l’antipasto, che sarà leggero e stimolante, è il solo piatto che, in casa, possa arrivare in tavola impiattato, soprattutt­o se è freddo. Un capitolo a sé è costituito dai «primi», pasta o riso, portata solo italiana, che secondo i canoni classici non dovrebbero essere serviti la sera. Ma l’abitudine a ridurre il mezzogiorn­o a un momento veloce e casuale lo consente. A patto che il pane compaia solo al momento del piatto centrale per non sovraccari­care lo stomaco di farinacei. E a proposito del piatto centrale, o forte, è da lì che si deve partire nella costruzion­e del menu. Tutto il resto, dall’antipasto al dolce, deve ruotargli intorno come i pianeti intorno al sole.

ASCENDENTE, DISCENDENT­E O A ZIG-ZAG? Tante sono le direzioni che si possono impartire alla struttura di un menu. Nel prossimo numero.

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