Storie di famiglia
Un’azienda attenta alla sostenibilità e un’oasi dove l’acqua sprizza da un geyser. Abbiamo scoperto come nasce Ferrarelle, minerale italiana famosa nel mondo. Grazie a molto impegno. E forse a un pizzico di scaramanzia
Generazione effervescente. Ferrarelle
Nel Parco Sorgenti di Riardo, 135 ettari coltivati e boschivi vicino a Caserta, si sentono solo le cicale. Il sole è a picco. Di acqua neanche l’ombra. «Scorre a 40 metri di profondità. Però, se vuole, apriamo il geyser». A farmi questa bizzarra proposta è Michele Pontecorvo, vicepresidente del Gruppo Ferrarelle. Pochi minuti dopo l’esplosione: una fontana alta 10 metri ci sovrasta. L’acqua è freschissima e come dice il motto aziendale «effervescente naturale». Accanto a lui le sorelle Adriana e Carlotta (sopra, nella foto), insieme al fratello nel consiglio di amministrazione dell’azienda di famiglia. Il marchio, fondato nel 1893 e poi passato alla multinazionale francese Danone, dal 2005 è di proprietà dei Pontecorvo, che hanno acquisito il gruppo Italaquae, ribattezzato Ferrarelle Spa (comprende anche Vitasnella, Fonte Essenziale, Boario, Santagata e Natìa, e distribuisce in Italia Evian). Oggi, con 400 dipendenti tra Milano, Riardo e Darfo Boario Terme in Val Camonica, l’azienda brilla più che mai di orgoglio made in Italy, tanto da ampliare la produzione a un’altra eccellenza, il cioccolato toscano Amedei. Andiamo con ordine. Come è tornata in Italia Ferrarelle? «La nostra famiglia ha prodotto bottiglie di vetro per quasi un secolo, eravamo la
seconda azienda in Europa. Negli anni Novanta cedemmo l’azienda e aprimmo una compagnia di navigazione. Poi mio padre decise di acquistare questo storico brand e in due mesi tornammo nell’industria manifatturiera. Questa volta le bottiglie le avremmo riempite». Di acqua si parla molto. Che cos ’ha, la vostra, di speciale? «È l’unica effervescente naturale certificata su tutto il processo idrobiologico delle bollicine. Nasce qui, dalla raccolta delle acque piovane sulla sommità del vulcano spento di Roccamonfina. Scende a 40 metri nel sottosuolo e scorre per 15 chilometri tra strati di rocce vulcaniche. In questo modo si arricchisce di sali minerali e di gas. Come un vino, l’acqua sente il terroir. Quindi, di speciale ha il territorio in cui sgorga». Ovvero? «Il Parco Sorgenti di Riardo è un luogo rimasto intatto nei secoli, proprio grazie alle fonti. Per salvaguardarlo, dal 2010 abbiamo avviato una collaborazione con il Fai (Fondo Ambiente Italiano). L’intento è di valorizzare, oltre alla risorsa idrominerale, anche il paesaggio in cui nasce». In che modo? «Organizziamo visite guidate. Abbiamo avviato un’azienda biologica, la Masseria delle Sorgenti Ferrarelle, di 88 ettari, che produce olio, miele, nocciole e legumi. Il fulcro dell’accoglienza e di questo lavoro è la Masseria Mozzi, risalente al XVIII secolo, un luogo magico diventato una locanda che serve piatti della tradizione con prodotti locali, tra cui le verdure dell’orto, mozzarelle di bufala e ricotte freschissime provenienti dai caseifici vicini. A guidarci è la sostenibilità». Che cosa significa? «Preservare per le generazioni future. Quest’acqua è conosciuta fin dai tempi dei romani. Plinio il Vecchio, nel suo Naturalis Historia parla di “acque che ribollono dal terreno”. Sostenibilità significa anche rispetto della falda acquifera, monitorata ogni settimana attraverso “pozzi spia” per controllare che mantenga la sua integrità». Per via delle bottiglie di plastica, l’acqua minerale è accusata di essere una delle prime cause dell’inquinamento dei mari. Come replicate voi produttori? «Impegnandoci in progetti ambiziosi e un po’ folli. Siamo l’unica azienda italiana che si è dotata di un impianto per riciclare il Pet, dal 2018, in maniera totalmente autonoma. Sul tema, mi permetta, c’è però molta disinformazione. Credo che siano le abitudini dell’uomo che devono cambiare. La plastica può essere una risorsa: il polimero che usiamo per le nostre bottiglie, di alta qualità, può essere riutilizzato all’infinito». Com’è l’acqua del futuro? «Credo che l’acqua non abbia tempo, è l’unico alimento di cui non possiamo fare a meno. Però può essere arricchita. Qualche anno fa andavano le acque aromatizzate. Ora le “funzionali”». Acque che curano? «Sì. Con Vitasnella ne abbiamo lanciato una linea ad hoc. C’è quella detox, con aloe, e la drenante, con linfa di betulla. Si applica all’acqua il concetto dei “superfood”, gli alimenti che oltre a nutrire aiutano l’organismo. Idratandoci meglio, diventiamo più performanti». Lei lo sarà di sicuro. «Crede? Il primo ricordo in azienda è una spettacolare caduta. Il direttore generale mi stava presentando ai dipendenti, sono scivolato da una scala e mi sono trovato schiena a terra. Ma ha portato bene». Scaramantico? «Moltissimo. Porto sempre con me un amuleto, il cornetto d’oro che mi regalò mio padre il giorno dell’esame di maturità. Anche all’oasi ne abbiamo seminato qualcuno, di legno, qua e là».