Cosa si mangia a San Pietroburgo
Rivelazione russa
Menu tradizionali e insegne contemporanee, colazioni georgiane e barbecue Texas-style. E poi cibo di strada, cocktail e vini naturali. La Venezia del Nord non è mai stata così eclettica a tavola
Romantica, festosa ma non mondana, cosmopolita, spudoratamente bella: San Pietroburgo è tante cose che Mosca non è. La capitale del Nord, città letteraria e colta, va assaporata con lentezza in barca – a bordo di una delle tante crociere sul Neva che consentono di ammirare ancora meglio la facciata malachite dell’Ermitage con il Palazzo d’Inverno, gli eleganti lungofiume e la sconfinata collezione di ponti che collega le diverse isole-quartieri – e ancora di più a piedi (con scarpe comode perché gli spazi qui sono commisurati al sogno di Pietro il Grande, che immaginò e costruì Sankt-Peterburg più di tre secoli fa).
Sulla Prospettiva Nevskij, l’arteria che taglia in due il centro per quattro chilometri, si incontra il meglio e il peggio dello shopping. Al numero 56 è difficile non notare le monumentali e magnifiche vetrine Art Nouveau dell’Eliseyev Emporium, che da oltre un secolo serve con riverenza l’alta borghesia locale. È l’indirizzo giusto per assaggiare halva, marzapane ed éclair o per riempire la valigia di caviale, formaggi alle erbe e souvenir di dubbio gusto come il busto di Lenin interamente fatto di cioccolato bianco o le matrioske riempite di caramelle.
Il futuro è locale
L’ex Leningrado oggi vive una seconda rivoluzione che sta sconquassando le consuetudini a tavola. A fomentarla contribuiscono anche le sanzioni internazionali contro la Russia e il conseguente embargo su tanti prodotti agroalimentari. Di necessità virtù: a meno di non pagare cifre folli per specialità d’importazione, i cuochi sono stati costretti a guardare in casa e a rimboccarsi le maniche per riscoprire ingredienti dimenticati e prodotti del territorio con il supporto di nuove fattorie e allevamenti di qualità. E così oggi la Città degli Zar mostra al mondo tutta la sua vivacità per tornare ai fasti del passato e giocarsi con Mosca il primato in cucina.
L’occasione giusta per scoprire il volto più inedito della scena culinaria, lontano da sbadigli e convenzioni, possono essere i Gourmet Days, un festival gastronomico internazionale che va in scena ogni anno a giugno, in concomitanza con le notti bianche, e che ha il doppio obiettivo di portare in città
ospiti stranieri per dialogare con i residenti in cene a quattro mani (quest’anno c’era anche Anthony Genovese, chef due stelle Michelin del Pagliaccio di Roma), ma soprattutto di promuovere le avanguardie di casa.
I rivoluzionari
Dmitry Blinov è il personaggio da incontrare per comprendere in pochi bocconi il «manifesto» di questo rinnovamento: purezza di sapori, creatività, predilezione per ingredienti locali ma senza rinunciare a influenze esotiche (asiatiche). C’è più di qualcosa in comune con la Nordic Cuisine, ma in fondo Piter – com’è amichevolmente chiamata dagli abitanti – è vicinissima ai Paesi scandinavi. Dopo il successo del precedente progetto, Blinov ha inaugurato Tartar Bar (Vilenskiy Pereulok, 15), un bistrot «raw» dal design post-industriale con cucina completamente a vista e pochi tavoli di legno, di cui è facile individuare l’ossessione in menu. La proposta di tartare è consistente, si va dal manzo con barbabietola affumicata alle capesante e spinaci, al cervo con suluguni (formaggio semiduro georgiano) e ravanello verde. Tutte impeccabili. La carta cambia ogni mese, in base a mercato e stagioni, ma le interiora sono un punto fermo: favolosi sia la lingua in ➝
salsa di sesamo con sedano rapa che il cervello di vitella con grano saraceno e salsa al malto. Se il quinto quarto non è la vostra passione, optate per il cavolo in salsa shiitake o per le carote al forno con peperoncino e mousse di patata dolce.
L’altra insegna avanguardista da appuntare in agenda è Hamlet + Jacks (Volynskiy Pereulok, 2) di Evgeny Vikentev, chef con capelli a scodella, occhiali hipster e tante buone idee. Il menu è diviso in due sezioni: «ours» è una vetrina sulle migliori materie prime scovate dai contadini del luogo, ma presentate in nuove combinazioni, mentre nei piatti di «ours + theirs» i prodotti russi si mischiano con ingredienti da tutto il mondo. Provate il salmone con bottarga e pesca fermentata, la tartare di manzo con consommé di funghi, caprino e mirtilli rossi e il polpo con grano saraceno, salsa di acciughe e coriandolo. Il ristorante perfetto per il prima o dopo teatro – parliamo naturalmente del glorioso Mariinsky – è l’adiacente The Repa (18/10 Teatralnaya Ploshchad), molto frequentato anche dagli artisti, che offre il menu «Back to Roots», ritorno alle radici, un interessante percorso che gioca sia sul legame con la cucina popolare russa sia sui tuberi (repa vuol dire «rapa bianca»), dall’antipasto al gelato di scorzonera con fragole fermentate.
I nostalgici
È legittimo, però, aver voglia di un’esperienza da zar, con tutti i cliché del caso. Da Tsar (Sadovaya Street, 12) può capitare di cenare tra abiti tradizionali e canti patriottici, in un ambiente dove tutto è il contrario di sobrio (anche il bagno, un trono) ma dove si possono assaggiare le migliori versioni del manzo alla Stroganoff, dell’insalata Olivier (l’autentica insalata russa) e del borsch (zuppa di barbabietole e carne) e fare una vera degustazione di caviali. ➝
«Pietroburgo, la città più astratta e premeditata di tutto il globo terrestre» da Memorie dal sottosuolo di Fëdor Dostoevskij