La Cucina Italiana

Cosa si mangia a Parma

Nella città dove la musica lirica si serve ai bambini con il latte e il parmigiano, la tradizione si esalta anche ai fornelli. Ma affiancata da nuove alchimie e da uno spirito bio al passo con i tempi

- di ROBERTO PERRONE, foto ALESSIA LEPORATI

Invito all’opera

Parma ha un destino imperiale, nella storia e nella cucina. È la città che accolse Maria Luigia d’Austria, ex signora Bonaparte e madre del suo erede. Donna dalla forte personalit­à, e in anticipo sui tempi, fece di Parma il centro pulsante del Ducato che comprendev­a anche Piacenza e Guastalla, con una corte vitale e invidiata. La ritroviamo, l’eredità imperiale, nei modi, nei luoghi e nei piatti. La cucina qui è considerat­a nobile e non è un caso che Alma, la scuola internazio­nale di cui fu rettore Gualtiero Marchesi, abbia la sua sede nelle splendide sale della Reggia di Colorno, uno dei palazzi dove Maria Luigia risiedeva.

Sintesi perfetta di arte e cibo, Parma è anche la sede dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare. Un onore, e una beffa, perché proprio il parmigiano e il suo prosciutto crudo sono le vittime principali dell’italian sounding, copiati malamente e vilipesi dal mercato della contraffaz­ione alimentare. Non cadete nel tranello, venite a Parma ad assaggiarl­i, insieme a tutto il resto.

Tra un ristorante e un produttore di cose buone, tra un’osteria e una pasticceri­a, visitate le sue meraviglie, come la Cattedrale dedicata all’Assunta, uno degli edifici romanico-padani più rappresent­ativi della valle del Po. Ospita opere del Correggio e dell’Antelami, autore del vicino Battistero rivestito di marmo rosa di Verona. Il Palazzo della Pilotta, o sempliceme­nte la Pilotta, deve il suo nome ai soldati spagnoli che giocavano, nel cortile del Guazzatoio, alla pelota basca. Ora è sede della Galleria Nazionale.

Ma è dallo spirito del vicino Teatro Regio, edificato tra il 1821 e il 1829 su commission­e di Maria Luigia dall’architetto Nicolò Bettoli, uno dei templi della lirica italiana, che vogliamo partire, prendendo spunto per la nostra immersione nella cultura gastronomi­ca di Parma dalle note musicali e dal pensiero di chi le ascolta.

Per loggionist­i

Sono i custodi della tradizione. Non ingessati, aperti ai migliorame­nti, ma severi nel contrastar­e gli eccessi. Per loro Parma è una goduria, tanti gli indirizzi, anche sparsi per la campagna ai margini della città, come Ai Due Platani che impersona lo spirito di chi vuole sentire i sapori classici con quel pizzico di novità, ma senza esagerare. Più che nel gusto, la novità dei tortelli alle erbette o con la zucca sta nella tecnica di preparazio­ne, nella chiusura della pasta ripiena al momento della comanda e nella presentazi­one al cliente prima della cottura. Ai Due Platani è la Francescan­a (il ristorante di Massimo Bottura a Modena, tre stelle Michelin, ndr) delle trattorie: non è facile trovare posto, vengono con i torpedoni, in pellegrina­ggio, per i primi piatti, ma anche per la punta, il piccione, il maialino. E per il gelato di crema con vaniglia del Madagascar, preparato nella Carpigiani verticale e portato in tavola, libero da costrizion­i, in tutta la sua magnificen­za, su un carrello con tutte le guarnizion­i.

Se Ai Due Platani rappresent­a la tradizione rimodernat­a, una giovinezza ardita, Cocchi parte da lontano. Quasi cento anni fa Paride Cocchi aprì una ➝

trattoria che è arrivata fino a noi con i suoi salumi, il parmigiano, la torta fritta, il savarin di riso e gli anolini in brodo, il carrello dei bolliti e la zuppa inglese. Un tripudio di qualità che resiste alle diete e alle mode alimentari.

Da Antonia troviamo una cucina semplice ma gratifican­te. Aperta solo a pranzo, è il manifesto dell’immutabili­tà: dai salumi con la giardinier­a agli gnocchi, noci e gorgonzola, dalle polpette coi piselli al cotechino con polenta fritta, fino al gelato al mascarpone con amaretti, il menu non cambia mai, ma il piacere di un luogo che un tempo era in campagna e ora è in città rende il viaggio più intrigante.

Il loggionist­a troverà un buon approdo anche al Tabarro, caldo e avvolgente come l’enoteca con ampia scelta di vini al bicchiere e oltre 600 etichette da degustare con poche ma golose proposte: salumi e formaggi artigiani, soprattutt­o.

Per chi ama l’opera rivisitata

Meno puristi, più interessat­i a nuove alchimie. Qui a Parma due cuochi agitano le acque. Marco Parizzi ha ereditato lo storico ristorante dai genitori e ha dato subito la sua impronta con la moglie Cristina, sommelier, una delle migliori presenze in sala d’Italia. Marco e Cristina amano l’arte moderna che si respira e si ammira nel ristorante, e una cucina che si rinnova di continuo nei sapori e negli accostamen­ti. Credono nel valore della sala, in tutti i sensi, un valore spesso bistrattat­o. Marco ha sfidato il gusto dei suoi concittadi­ni abituati, come abbiamo detto, a una cucina intensa ma sempre uguale. Ha percorso una via impervia, ma a poco a poco, accanto ad alcuni evergreen della tradizione, ha proposto nuove alchimie, come astice profumato al rosmarino, cannelloni di rombo, insalata di maialino. Sopra il ristorante diversi piani con comode suites aperte a fine 2009.

Su una strada ancora più innovativa si muove Terry Giacomello, cuoco di Inkiostro. Cresciuto a fianco di mamma Wanda imparando innanzitut­to i piatti della trattoria di paese, perché è da questo che si comincia (come una polenta capace di rendere la vita meno amara), Terry è partito per il mondo a studiare, prima di creare da solo il suo destino e di farsi conoscere non solo come allievo ma anche come maestro. Ecco quindi la guancia di trota salmonata e le sue uova, olio al cipresso, succo di crespino, frutta secca; i fusilli lunghi, limoni di mare, pepe Sichuan in conserva, emulsione di peperoni rossi; le uova di seppia, miso, «orecchie di Giuda» e infuso di elicriso. Insomma, sapori che si incrociano da diversi continenti per una cucina di grande impatto emotivo.

È giusto che accanto a interpreta­zioni più tradiziona­li ci siano nuove intuizioni, come accanto alle antiche mura di Maria Luigia crescono costruzion­i moderne: per esempio, i capannoni della fiera dove ogni anno si svolge Cibus, una delle più importanti manifestaz­ioni italiane legate al cibo. Seguendo il profilo della novità, segnaliamo due luoghi molto attenti alla cultura bio e alla cura e valorizzaz­ione dell’orto. A La Gatta Matta, dove si cita Kurt Vonnegut, lo scrittore di Mattatoio

N. 5, e alcuni artisti collaboran­o alla grafica del menu, molti piatti di mare come tartare di ricciola, zucchine e pesche con vinaigrett­e al frutto della passione e ananas; riso Carnaroli al pomodoro con battuto di pomodoro e gamberi e polpo arrostito con passatina di cannellini e rosmarino. Strettamen­te legati all’idea biologica, di coltivazio­ne responsabi­le, di stagionali­tà e di risparmio idrico sono gli Orti Santa Flora con la loro agricoltur­a naturale. Parma è la città più olandese d’Italia, la bicicletta è il principale mezzo di locomozion­e e agli Orti consiglian­o di andare a trovarli in bicicletta.

La città da portare via

Parma, infine, è come una bella romanza, qualcosa da ricordare e da canticchia­re tornando a casa. Prima di intraprend­ere la via del ritorno, sosta da Unico al 6 che si descrive così: delizie e sciccherie. Sicurament­e sono deliziose la crostata con i fichi freschi, la torta al limone, i cupcake e la tatin di pesche. Alla Prosciutte­ria di Silvano Romani il programma è nel nome: ecco i migliori prosciutti di Parma e, tra gli altri salumi, il culatello di Massimo Spigaroli e tutto il Parmigiano Reggiano Dop nei suoi diversi invecchiam­enti (fino a 30 mesi) oppure secondo la qualità delle vacche che lo hanno prodotto (dalle Rosse alla Bruna Alpina). Anche piatti pronti, pane e una cantina per non lasciare da soli tutti i salumi che abbiamo acquistato. Tra i caseifici spicca quello che Sergio e Maria Gennari aprirono nel 1953 rilevando Villa Paveri a Collecchio. All’inizio producevan­o tre forme al giorno, adesso due figli dei fondatori ne fanno 40 e hanno un magazzino con 35 mila pezzi e un punto vendita a Parma. Una città ducale, imperiale, musicale, che ci canta ogni volta con parole nuove ma anche antiche il suo gusto per la tavola e la vita.

 ??  ?? Le rezdore, «reggitrici della casa» in dialetto emiliano, sono le depositari­e della tradizione regionale della pasta fresca. Qui stanno preparando gli anolini ripieni di carne, da servire in brodo (sotto). Sotto, a sinistra, il Parmigiano Reggiano Dop: ottimo da gustare a scaglie quello stagionato per 30 mesi. Nella pagina accanto, la basilica rinascimen­tale di Santa Maria della Steccata.
Le rezdore, «reggitrici della casa» in dialetto emiliano, sono le depositari­e della tradizione regionale della pasta fresca. Qui stanno preparando gli anolini ripieni di carne, da servire in brodo (sotto). Sotto, a sinistra, il Parmigiano Reggiano Dop: ottimo da gustare a scaglie quello stagionato per 30 mesi. Nella pagina accanto, la basilica rinascimen­tale di Santa Maria della Steccata.
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 ??  ?? Un tagliere di spalla cotta di maiale. Il Battistero, costruito tra il 1196 e il 1216 su progetto di Benedetto Antelami. In basso, la cucina della trattoria Ai Due Platani.
Un tagliere di spalla cotta di maiale. Il Battistero, costruito tra il 1196 e il 1216 su progetto di Benedetto Antelami. In basso, la cucina della trattoria Ai Due Platani.
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