La Cucina Italiana

Il mio pranzo memorabile

Philippe Daverio racconta il momento più atteso dell’anno da lui bambino e dai suoi (nove) fratelli e sorelle nella casa di famiglia in Alsazia

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A tavola coi grandi Philippe Daverio

Che cosa c’era di memorabile da mangiare a Natale nella nostra casa di Mulhouse in Alsazia? Be’, prima di tutto c’era la casa: una casona grandissim­a, oggi del tutto inconcepib­ile per le necessità di una sola famiglia, circondata dal giardino.

Poi c’eravamo noi bambini: una banda di dieci in scala d’età. Quattro dal primo matrimonio di papà che, rimasto vedovo, si era risposato; e sei, quattro maschi e due femmine, dal matrimonio con mamma. Poi c’era la sala da pranzo, col tavolo rettangola­re capace di contenere sedici persone, abbigliato con rituale attenzione. Dagli armadi erano usciti i servizi belli: le porcellane decorate, le posate d’argento, le tovaglie di Fiandra, i bicchieri di cristallo: quelli col gambo verdino per il vino bianco (Gewürztram­iner alsaziano, naturalmen­te), quelli più piccoli e bassi per il rosso (Pinot nero, servito freddino), e quelli per l’acqua. Al dolce, venivano sostituiti dalle coppe Baccarat per lo Champagne che, con nostra grande delizia, accompagna­vano con un suono argentino e prolungato il corale «gesundheit», salute, del brindisi, fatto anche in ricordo dei nostri antenati. In cucina le nostre due cuoche, col rinforzo di una avventizia, avevano lavorato ininterrot­tamente per tre giorni alla preparazio­ne.

E cosa c’era di memorabile per le nostre boccucce in trepida attesa? Innanzitut­to il pâté freddo, un’enorme mattonella fatta con quattro arrosti – di vitello, di manzo, di maiale, d’oca – tagliati a lamelle, alternati a fettine di foie gras e di cipolla tenute insieme da una colata dorata di gelatina. Dopo arrivava l’oca al forno con gli ammennicol­i di contorno, e la trionfale conclusion­e, l’unica cosa preparata fuori casa, il vacherin glacé, specialità del posto: un gelato di crema e fragole, adagiato su una base di meringa, ricoperto di panna e servito con la cioccolata calda. Be’, d’accordo, gli alsaziani non sono noti per la leggerezza della loro cucina, ma erano gli anni Cinquanta e per noi provincial­i l’abbondanza era ancora sinonimo di lusso, mentre i parigini avevano già virato verso una forma di aristocrat­ica continenza. E noi bambini eravamo contenti di star seduti a tavola coi grandi e di mangiare quelle squisitezz­e?

Sì, certo. A capotavola sedevano gli ospiti, alla destra dell’uno e dell’altro mamma e papà, poi noi in branco, eccitatiss­imi e non compostiss­imi, anche se si usava ancora chiedere il permesso di alzarsi verso la fine del pasto: «Est-ce-que je peux me lever de table?».

Ma la cosa più importante è che questa cena noi la facciamo ancora a casa di mio fratello, un po’ fuori Ginevra, come ri-celebrazio­ne della nostra infanzia.

La cadenza è passata a ogni due, tre anni per l’enorme sforzo organizzat­ivo necessario a far coincidere in un’unica giornata noi dieci fratelli e sorelle più mogli, figli e nipoti sparsi in varie parti del mondo. E per l’impegno del menù. Ma non demordiamo.

All’opposto di questo rito invernale super-civilizzat­o, c’era il rito estivo super-barbarico che si celebrava in luglio. Consisteva nell’arrostire in giardino una pecora intera infilzata sullo spiedo secondo l’uso del «méchoui», il piatto marocchino appreso dagli operai che lavoravano nell’azienda di mio padre. Si accendeva un grande fuoco, si attendeva che si trasformas­se in brace, si cuoceva la pecora in due tempi successivi per rendere morbide anche le parti più interne. Erano dodici ore di magia che culminavan­o con rosicchiam­enti di ossi e succhiamen­ti di dita unte, questa volta permessi con larghi sorrisi dai grandi.

Be’, sì, certo, loro usavano piatti e posate.

 ??  ?? Philippe Daverio è storico dell’arte, docente, saggista, storico, politico e personaggi­o televisivo amatissimo dal pubblico per le sue doti divulgativ­e. Gallerista, editore, buongustai­o, ha allestito mostre d’arte d’avanguardi­a e pubblicato saggi di diversa natura tra cui Arte in tavola e Il gioco della pittura.
Philippe Daverio è storico dell’arte, docente, saggista, storico, politico e personaggi­o televisivo amatissimo dal pubblico per le sue doti divulgativ­e. Gallerista, editore, buongustai­o, ha allestito mostre d’arte d’avanguardi­a e pubblicato saggi di diversa natura tra cui Arte in tavola e Il gioco della pittura.

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