Cosa si mangia a Parma
Siamo al centro della Food Valley, patria del Parmigiano Reggiano, di culatelli per principi, del buongustaio Giuseppe Verdi e di grande arte. Ecco perché è città gastronomica dell’Unesco e capitale italiana della cultura 2020
Musica per alti palati
Certo che gli ingredienti per imbandire un banchetto invernale, a Parma, ci sono tutti: prosciutti e culatelli, parmigiano reggiano, porcini e tartufi dai boschi. E poi la zucca violina e le mele cotogne (senza contare le basi della nostra pastasciutta, la salsa Mutti e la pasta Barilla, anch’esse di qui). Potremmo proseguire, l’elenco è davvero molto lungo. La cosa migliore, se non siete mai stati da queste parti, è programmare un viaggio in uno dei «giacimenti» più ricchi di cose buone in Italia: la chiamano Food Valley perché è il territorio con il maggior numero di prodotti tipici tutelati da marchi di qualità. E l’inverno è il momento più propizio per assaggiare la sua cucina sostanziosa, e quando fuori fa freddo, fermarsi davanti a un piatto fumante.
Un ingrediente fondamentale
Breve digressione sulla nebbia: la fumära è considerata un dono di Dio, per stagionare i salumi e far crescere i funghi più saporiti. Ci vuole un gran carisma per farsi desiderare più del sole. Uno dei suoi fan è Massimo Spigaroli, norcino e chef che ha trasformato la «vecchia fattoria» nella polifunzionale Antica Corte Pallavicina di Polesine Parmense: ristorante stellato e bistrot, relais con camere e salotti affrescati, allevamento di maiali, oche e galline, orto biologico. Il signor Spigaroli ha anche museo e cantina di culatelli, già prenotati dai colleghi, da Ducasse a Bottura, dal principe Carlo e da altri notabili. Ai suoi ospiti lo serve affettato sottilissimo, prima di iniziare la sostanziosa degustazione di piatti «gastro-fluviali», come il caposaldo «coscette di rane con purè e legumi».
La tradizione sta a cuore alla gente della Bassa. Nelle osterie i menu sono uguali da decenni. All’Ardenga, a Diolo di Soragna, non mancheranno mai gli anolini in brodo, la punta di vitello e il Lambrusco amabile. Mentre Ai due platani di Coloreto, appena nominata «miglior trattoria d’Italia» dall’Espresso, per mangiare i classici bisogna prenotare con settimane di anticipo. Altrimenti ve li sognate i tortelli di zucca riempiti al momento, e la montagna di gelato alla vaniglia che arriva al carrello con guarnizione a scelta: nocciole caramellate, Elisir Borsci, cioccolato fuso. Da «volare via», dicono da queste parti.
Vacche e maiali fanno i miracoli
Parmigiano e prosciutto contribuiscono alla ricchezza dei piatti. ➝
Nel territorio ci sono 330 caseifici. Tra i pochi a filiera completa si contano Bertinelli e Gennari, due produttori storici del formaggio italiano più famoso del mondo. Bertinelli si è specializzato anche in quello kosher, con la supervisione del rabbino dalla mungitura alla stella di David impressa sulla forma. È un lavoro pesante, dalle cinque a mezzanotte, sette giorni su sette. Ci vuole passione. Paolo Gennari è sempre in azienda, tuta da lavoro e un vulcano di idee in testa. Ha tre botteghe, due in centro a Parma, e ora dopo i pregiati Vacche Rosse e Riserva 48 e 60 mesi, sta mettendo a punto un nuovo formaggio da tavola. Tiene pure esclusive «lezioni di parmigiano» e, una volta stagionata, spedisce agli allievi la forma prodotta insieme.
Il prosciutto di Parma è l’altra eccellenza, con storie di imprenditoria coraggiosa. Parliamo per esempio dei Fratelli Galloni. Il 14 luglio 2016 lo stabilimento di Langhirano è andato a fuoco, carbonizzando 85 mila cosce. Un disastro di fronte al quale la famiglia non si è fermata nemmeno un minuto: mentre i pompieri domavano le fiamme, partivano le spedizioni del giorno. In poco tempo hanno ricostruito un nuovo stabilimento all’avanguardia. Fornitori di Bottura e Bastianich, hanno fatto scoprire il crudo di Parma agli Stati Uniti, e inventato la stagionatura in botte che dà un vago sapore di vino alle fette, come si può provare nel ristorante di fianco alla fabbrica.
Jurassic Porc sulle colline
Saper attualizzare la tradizione è il segreto del successo di un territorio che pur specializzato nell’industria alimentare, conserva un’identità agricola. Rural, per esempio, è il nome del progetto visionario di Mauro Ziveri, proprietario del prosciuttificio Rosa dell’Angelo a Rivalta, in collina. I suoi maiali neri, antica razza locale con cui fa un crudo di 36 mesi che sa di bosco, pascolano felici, ciascuno in 1000 metri quadrati. Il vero pallino di Ziveri però è la tutela della biodiversità agricola della zona, dai grani antichi alla gallina romagnola, alla Stalla Salvezza, dove selezionano le ormai rare vacche grigie dell’Appennino. Rural è anche il nome della struttura che in settembre ospita il festival dei produttori, con un’esposizione di trattori Lamborghini e Landini, e sei capanne spartane nel frutteto per trascorrere la notte. Il bagno è un po’ lontano, ma degno di una suite, con sauna, cromoterapia e armadio fornito di tuta da lavoro e stivali per chi vuole aiutare nei campi. Hanno anche un negozio in centro a Parma, dove si trovano i prodotti di stagione, e in primavera organizzano un viaggio di quattro giorni in fuoristrada e tenda fino nel Chianti, percorrendo solo strade bianche.
Anche la musica vuole la sua parte
Nella città di Verdi e Toscanini, ti fermi a mangiare un panino con la «vecchia» (polpette di cavallo e peperonata) da Tra l’uss e l’asa, mentre per ➝
strada suona l’Aida, vai a far l’aperitivo al Tabarro, in via Farini, mentre in qualche casa qualcuno prova un’aria del Rigoletto. La musica è ovunque, anche al ristorante. Al bistrot Cortex, Max Gazzè, Battiato, Rino Gaetano e altri autori italiani allietano i pezzi clou del menu: uovo al parmigiano e topinambur con alga nori; lingua, pak choi (cavolo cinese), chips di topinambur e pane abbrustolito, una specie di bollito scomposto. I cuochi Diego, Simone e la moglie Mikako, che si sono incontrati a Londra mentre lavoravano lui alla Locanda Locatelli, lei da Nobu, volevano realizzare un progetto familiare. Nella squadra ci sono infatti anche Ottavia, sorella di Simone, in sala, e il marito Tommaso Granelli, ai social. L’atmosfera è conviviale, gli interni informali, la cucina precisa e i piatti sono gustosi e generosi. Cortex è l’esempio riuscito di come si può evolvere la trattoria tradizionale.
L’alta cucina è sempre più ospitale
Parizzi, una stella Michelin, è un concept, con la scuola, il negozio online e le suite, mentre Terry Giacomello è la star del momento con l’Inkiostro, all’Hotel
Ink. Al ristorante Parmigianino del Grand Hotel de la Ville, è arrivato Roberto Conti. Con la stella tatuata sul polso, le intenzioni sono chiare: conquistare la città spaziando oltre la Food Valley per ingredienti e ricette. Sa che non è facile portare i parmigiani a cena in albergo in una città zeppa di trattorie squisite. Però, a giudicare dal tutto esaurito di certe serate, il risotto e la costoletta filolombardi incontrano il gusto locale. Comunque studia anche la cucina emiliana, e spesso va in biblioteca all’Academia Barilla (aperta il mercoledì pomeriggio), di fronte, dove non mancano ispirazioni tra riviste, 5000 menu di pranzi storici e testi miliari sulla gastronomia parmense come il libro Gastronomia parmense, firmato da Mastro Presciutto, parroco gourmet amico di Luigi Veronelli.
Nemmeno la giovane Amalia Maria Anedda, 29 anni, allieva di Ducasse, rinuncia alla tradizione. Al ristorante Les Caves, a Sala Baganza, fa i passatelli, ma li serve in dashi (il tipico brodo giapponese) di funghi, in ricordo dei suoi viaggi in Oriente. E al raffinato b&b La Terrazza sul Duomo, la colazione della signora Carlotta, con vista sull’abside
Bertinelli produce anche parmigiano reggiano kosher, che esporta soprattutto in Usa. «Sempre che Trump non aggiunga dazi», dice il rabbino che segue ogni fase di lavorazione che garantisce un prodotto vegano e pure halal
romanica, prevede porcellane antiche, vassoi d’argento, caffè della moka, dolci e, sempre, parmigiano e salumi.
A questo punto sarà chiaro perché Parma è stata designata, prima in Italia, Città Creativa Unesco per la Gastronomia e anche perché è in carica nel 2020 come capitale italiana della cultura, spaziando dall’arte della tavola a quella più propria del Duomo, del Teatro regio e della Pilotta, un complesso monumentale che custodisce il Teatro Farnese, il museo della grafica Bodoni, il primo museo archeologico italiano, oltre a quadri del Parmigianino, busti del Bernini, La Scapigliata di Leonardo da Vinci e Maria Luigia d’Asburgo, duchessa benefattrice di Parma, scolpita da Canova. «Sono i musei vaticani in miniatura e nessuno lo sa», dice il direttore Simone Verde, incaricato a Parma dopo il Louvre di Abu Dhabi. È grazie a lui che quel gioiello è stato spolverato, rinnovato e arricchito, proprio in questi giorni, con un neon di 190 metri di Maurizio Nannucci. Un modo per dare nuova luce a un patrimonio inestimabile e al suo progetto di valorizzazione.
«I miei nonni gestivano una tenuta di Giuseppe Verdi. Mi raccontavano di un uomo un po’ impetuoso, come la sua musica, ma bravo e buongustaio», racconta Massimo Spigaroli che ha dedicato un libro di ricette alla cucina del Maestro