Dammi il solito
Il distillato bohémien, molto in voga nella Parigi di fine Ottocento, dopo la messa al bando è tornato alla ribalta. L’importante è sfatare i luoghi comuni
Assenzio, ever green
Avete mai bevuto un bicchiere di assenzio? A questa domanda normalmente si palesano due tipi di risposta: «No, no! È dannoso, crea dipendenza» oppure «Certo, una bomba, ho avuto delle visioni». Vale dunque la pena sapere qualcosa di più sulla misteriosa fée verte, la fata verde (ma non troppo, meglio diffidare dei colori troppo accesi).
Nel 1792, il medico francese Pierre Ordinaire, alla ricerca di un tonico curativo, creò un distillato con Artemisia absinthium (da cui prende il nome), issopo, anice stellato, finocchio, melissa e altre erbe. Di sapore tra l’anice e la liquirizia, ebbe grande successo ma venne bandito agli inizi del Novecento perché considerato nocivo per la presenza del tujone, una molecola neurotossica contenuta nell’artemisia (la percentuale però è così bassa dopo l’essiccazione e la distillazione, che risultava allora, e risulta oggi, del tutto trascurabile) e causa dell’alcolismo che affliggeva buona parte della popolazione. Da poco più di un decennio è stato riabilitato (in Italia è di nuovo legale dal 2005) e non è difficile trovarlo nei migliori cocktail bar.
Ma come si beve? Versate in un bicchiere una parte di assenzio, appoggiate sul bordo una paletta forata con una zolletta di zucchero (come nella foto), versatevi sopra da tre a cinque parti di acqua fredda che la scioglierà e renderà opalescente il distillato, creando l’effetto luoche. Non bevetelo liscio in shot, non incendiate la zolletta. Se proprio volete darvi un tono, aggiungetene qualche goccia per profumare una coppa di Champagne, come faceva Ernest Hemingway.