Il mio pranzo memorabile
Per Letizia Moratti non c’è piatto migliore da condividere con i «suoi» 1300 ragazzi della comunità di San Patrignano
Pasta, ceci e baccalà Letizia Moratti
Alcuni dei miei pranzi più importanti sono legati a San Patrignano, la comunità di recupero alla quale sono vicina da quarant’anni, da quando, con mio marito Gian Marco, conoscemmo Vincenzo Muccioli e il suo impegno verso i giovani tossicodipendenti.
I primissimi furono anni di brandine affiancate, di roulotte, di assistenza a volte inesperta. Sembra incredibile ripensare a quanto la comunità sia cresciuta da allora, con oltre 27.000 ragazzi accolti e quasi 1300 oggi in percorso.
Da subito Vincenzo attribuì grandissima importanza a far vivere in un ambiente familiare tutti questi fragili giovani che le difficoltà della vita avevano portato verso la dipendenza, spesso smarrendo il senso della famiglia o la sensazione del calore di una casa. Partendo dalle roulotte, ha costruito il villaggio, le casette per le ragazze, ma anche la grande sala da pranzo dove ancora oggi tutti si riuniscono insieme tre volte al giorno per i loro pasti. In precedenza, si pranzava in un ambiente più contenuto che la crescita repentina della comunità rese sempre meno adatto, costringendo a organizzare i pasti su tre turni.
Vincenzo comprese l’importanza del pranzo come momento di riposo, ma anche come occasione di relazione tra i ragazzi, molti dei quali all’inizio faticano ad aprirsi e trovano proprio in quello un momento di confronto e ascolto che è molto positivo e parte integrante di quel percorso di rinascita e riscoperta personale che è il vero scopo della comunità.
Un pranzo che ricordo con particolare affetto è quello del Natale del 1992. Come tutti gli anni, insieme a mio marito trascorrevamo quel momento a San Patrignano, ma quel particolare Natale si percepiva un fermento speciale: tutta la comunità si era attivata per arrivare ad aprire la nuova sala da pranzo proprio per quel giorno. Ricordo lo sforzo dei ragazzi della falegnameria nell’assemblare i tavoli e le panche di legno, così come quello delle ragazze della tessitura impegnate nella realizzazione delle tante tovaglie necessarie. Grande era il desiderio di finire in tempo per festeggiare la notte di Natale insieme in quel nuovo e grande ambiente comune. Tutti misero grande impegno: si preparavano alberi e presepi, le mamme di alcuni ragazzi aiutavano a cucinare i piatti della tradizione, i cappelletti, la pasta e ceci, il baccalà. Una attenzione e cura del dettaglio che, pur nella semplicità di quel luogo, erano così importanti per trasmettere il senso dello stare in famiglia, del sentirsi a casa.
Spesso i ragazzi avevano vissuto soli, in strada, e quella condivisione rappresentava un momento importante, anzi doppiamente speciale perché proprio a Natale, per sottolinearne il senso più profondo, Vincenzo aveva deciso di accogliere tutti i giovani che si presentavano alle porte di San Patrignano in una tradizione che si ripete ancora oggi. Quel Natale del 1992 fu speciale perché finalmente potevamo pranzare tutti insieme, ancor più pronti a ricevere i tanti che bussavano in cerca di aiuto. Venire accolti significa un percorso di sostegno fatto di amore e dedizione, finalizzato a potersi reinserire nella società, in una rinascita personale che passa anche per piccoli momenti, come un pasto in famiglia.