Grandi famiglie
Quello dei Cattaneo Adorno, a Genova, rivela segreti, antiche ricette e una vocazione all’ospitalità che si tramanda da molte generazioni
Porte aperte a palazzo Cattaneo Adorno
Nel cuore del centro storico di Genova, nella monumentale via Garibaldi, patrimonio Unesco, c’è un edificio gemellare (sì, avete capito bene) con due ingressi indipendenti e piante speculari. Il bizzarro ed elegante duplex fu voluto nella seconda metà del
Cinquecento da due cugini, Lazzaro e Giacomo Spinola, desiderosi di abitare vicini. Oggi, una parte è abitata dalla famiglia Cattaneo Adorno e gli aneddoti continuano ad abbondare. Ad accoglierci sono tre generazioni di padrone di casa: la marchesa Elena Chiavari Cattaneo Adorno, la figlia Violantina e la nipote Camilla, che spunta con un caffè da uno dei passaggi segreti, una porta mimetizzata tra gli affreschi della sala da pranzo.
La tavola è apparecchiata per le grandi occasioni, con una candida tovaglia, porcellane a tema floreale e posate d’argento con stemma di famiglia che ricordano una «fusione» matrimoniale tra il ramo dei Durazzo e quello degli Adorno. «Le usiamo tutti i giorni: l’argento in lavastoviglie va che è un piacere». Qui d’altronde, aprire le porte agli ospiti è un’abitudine, nonostante la risaputa riservatezza ligure: «I battenti delle finestre li chiamiamo gelosie, perché vogliamo proteggere da sguardi indiscreti quello che avviene all’interno del palazzo», aggiungono.
«Siamo stati accolti con affetto in tutto il mondo, ci piace ricambiare con gli amici e i loro amici», chiosano in
coro le signore. «Organizziamo cene per chi vuole vivere Genova e i suoi palazzi dall’interno». Tutto avviene per passaparola. Tra gli ospiti, c’è stato anche un ministro dei Beni Culturali e una delegazione di inglesi in tour in Europa.
In tavola intanto arrivano i pansoti liguri (ravioli di ricotta e spinaci) con il sugo di noci e la focaccia. «Ognuno ha il suo fornitore e dice che è l’eccelso: io la compro nella loggia dei Grimaldi», mi dice Elena, «vicino alla chiesa di San Luca. I genovesi la mangiano a tutte le ore. Un grande classico? A colazione, col cappuccino», rivela Elena. Si rischiano faide poi, sulla ricetta del pesto. «Noi lo preferiamo con una punta di aglio e un pizzico di pecorino accanto al parmigiano: il basilico deve essere quello di Pra’, quartiere del Ponente genovese tra Petri e Voltri, dalla foglia piccola e tenera».
Sul soffitto campeggia un’allegoria della gola. La scorgo un attimo prima dell’arrivo dell’aspic, imponente e gelatinoso. Segue una torta molto soffice alla crema, coperta di panna montata e lamponi. «È un dolce per tutte le stagioni. La nonna la faceva preparare ogni settimana. A me piace con i marron glacé, la impreziosiscono. Riposata in frigo una notte, è una meraviglia».
Non mancano mai i dolcetti dell’antica confetteria Romanengo a base di pasta di mandorla e frutta caramellata, infine il caffè e le boule per lavare le mani. «Dobbiamo stare attenti con gli stranieri», mi spiegano. «Non sanno come usarla, e pensano di doverla bere».