Il personaggio
Natasha Slater ha inventato il modo di trasformare le chiacchiere conviviali in conversazioni che creano opportunità per conoscere e farsi conoscere, tra donne
Signore & signore Natasha Slater
Decidere cosa portare in tavola è una scelta complessa, ma scegliere chi mettere intorno a questa tavola può diventare una vera prova di abilità che Natasha Slater con le sue Dinner Conversations, le cene al femminile con non meno di cinquanta se non sessanta invitate, affronta con raffinata strategia. Ma come è venuto in mente di buttarsi in una simile impresa a questa pr con l’argento vivo addosso (merito anche della genetica: il mix di padre londinese e madre siciliana si sente anche nel suo intercalare italiano e inglese)? «Sono partita con l’idea di creare un evento social, un solo show per donne influenti. In venti anni, grazie al mio lavoro, ne ho conosciute moltissime e tutte davvero in gamba: l’idea di metterle insieme per fare net working, women empowerment, è venuta naturale. Fare festa semplicemente per fare festa non mi interessa».
Rompere gli schemi
I signori stanno a casa perché, spiega Natasha, «è ancora un fatto che in Italia la parità non esiste. Quando una donna si presenta a un colloquio di lavoro non sa come è valutata perché è donna, madre, moglie, single». Stilare la lista è un lavoro complesso. E non solo per il numero degli inviti. «La preparo come il curatore di una mostra: lui sceglie i suoi quadri, io le mie donne. Ogni cena è differente. Sono tutte donne potenti con carriere ed esperienze maturate nei più diversi campi: professioniste, stiliste, super manager, ceo, ma anche nuovi talenti cui offro così contatti altrimenti irraggiungibili. Sono molto inclusiva nelle mie scelte: nei miei “salotti”, se vogliamo chiamarli così, invito donne di tutte le religioni, età, razze. Female empowerment significa prima di tutto cambiare la conversazione fra donne. Se la donna vuole essere ceo, moglie, amica, madre deve prima di tutto avere il supporto delle altre donne». D’accordo, fin qui ci siamo; ma come si fa? «Cambiando l’atteggiamento con cui ci confrontiamo fra noi». A cena c’è spazio anche per le millennials così influenti oggi? «Sono stufa di sentire parlare solo di millennium: ormai è un marketing, come se chi ne è fuori non conta più niente. Ridicolo. Io metto insieme la ventenne con la settantenne perché hanno tanto da raccontarsi. E poi mi piace rompere gli schemi, anche quelli sociali che fra le donne esistono eccome, metto le persone in nuovi ambienti per capire come si comportano». Lanciate ad aprile 2019, dopo un piccolo rodaggio privato, le Dinner Conversations si sono presto evolute, arricchendosi di nuove idee e presenze. «Ho deciso di coinvolgere anche i marchi con cui collaboro perché sono così persi tra stampa, social media, influencer al punto che non sanno più come raccontare i loro valori. Così, all’interno delle cene creo un momento di conversazione, venti minuti su un tema specifico cui invito una figura femminile importante del marchio». Un esempio? «Sabina Belli, ceo di Pomellato, ha avuto un successo straordinario, perché le donne vogliono
riconoscersi in marchi di cui condividono i valori, che rispecchiano il loro stile di vita e il modo di pensare: valori che vanno oltre l’influencer marketing, cioè un mondo che viene dagli uomini dell’azienda». Come è recepita questa novità? «C’è tantissima conversazione, nascono amicizie e partnership, si conquistano nuove clienti: sono cene in cui tutti vincono».
Il dolce? No, grazie
I menù? Cinquanta invitate, anche se non placé, sono difficili da soddisfare. «Ho scelto un approccio flexitarian, vegetariano-vegano, così evito problemi di allergie e intolleranze». Chi c’è ai fornelli? «Anche nel catering cerco di lavorare solo con donne. Abbiamo invitato per esempio M’Ama Food, e una volta Ritu Dalmia, la cuoca indiana del ristorante Cittamani di Milano, è venuta a cucinare portando tutto il suo team a casa mia». E nei lieti calici? Le bollicine di Veuve Clicquot, nostro partner. A ogni evento una mixologist prepara poi un cocktail signature ad hoc con la vodka». Il piatto che funziona meglio? «Il risotto, soprattutto in inverno. E le melanzane alla parmigiana, sfiziose e senza troppi carboidrati. Abbiamo avuto anche il beyond burger». Mai in tavola? «Il pane». Dolcetto finale? «Ho provato, ma rimangono lì, non li propongo più. A vincere sono i cocktail».