Vita da cuoca
Al ristorante Marconi la mamma Maria tira la sfoglia, la sorella Mascia chiude i tortellini e li serve con il fratello Massimo, direttore di sala. A guidare la cucina, con mano fresca, sicura e gentile, Aurora Mazzucchelli
Femminile plurale Aurora Mazzucchelli
Arriviamo presto a Sasso Marconi, in provincia di Bologna, mentre l’ultima bruma si solleva dai campi. Il luogo sprigiona energia: camminiamo sui resti della civiltà etrusca, siamo a due passi dal mausoleo di Guglielmo Marconi, appena più in là del West che, come cantava Francesco Guccini, si scopriva attraversando la via Emilia, sui colli bolognesi resi celebri dalle scorribande in
Tra i piatti più famosi di Aurora Mazzucchelli ci sono i Tortelli di Parmigiano Reggiano alla lavanda, noce moscata e mandorle: delicati, irresistibili e sempre in carta. In alto, a destra, la signora Maria tira la sfoglia per preparare migliaia di tortellini. motoretta dei Lunapop nel 1999. Insomma, un concentrato di vicende di cui anche il ristorante Marconi fa parte. Si trova qui dal 1990 (ma la sua storia inizia nel 1983) in un’elegante palazzina tinteggiata di rosso acceso e in parte rivestita di acciaio corten, che si affaccia sulla strada provinciale e che guarda, sul retro, il piccolo orto-giardino. Si respira un’aria di memoria impastata con una dose di novità, infatti da nemmeno quattro anni, di fianco al ristorante (una stella Michelin dal 2009), c’è il Forno Mollica dove tutti i giorni, lunedì escluso, si trovano lievitati, sfoglie, torte e pizze. Il profumo di pane e la luce che entra dalle grandi vetrate ci accolgono insieme a Massimo Mazzucchelli, fratello di Aurora, direttore di sala e sommelier. Si sente un allegro chiacchierio che arriva dalla cucina: Aurora, la mamma Maria e la sorella Mascia sono alle prese con la sfoglia e i ripieni dei tortellini. Osservo ipnotizzata i movimenti rapidi e precisi come in una coreografia. ➝
Aurora, come inizia la storia del ristorante Marconi? «Comincia con delle polpette di neve cucinate sulla stufa. Mio papà Mario (prestate attenzione ai nomi, ndr) fin da piccolo desiderava cucinare e quelle polpette senza speranza sono l’emblema della tenacia che l’ha accompagnato per tutta la vita. Ha iniziato come cuoco a Bologna e poi con mia mamma Maria ha scelto questa zona per aprire un ristorante di pesce e di ricette della tradizione locale. All’inizio io stavo in sala, da quando sono entrata fissa in cucina, nel 1999, le cose sono cambiate».
Avete abbandonato le ricette tipiche? «Tutt’altro. La ricerca per la creazione di nuovi piatti parte sempre da lì. Adesso, per esempio, in carta c’è un piatto, Brodo e testina di maiale, cavolo e aglio nero fermentato, preparato con la coppa di testa di maialino che faccio ancora come mi ha insegnato mio papà. E poi i tortellini non mancano mai, vero Maria?», aggiunge Aurora rivolgendosi alla mamma.
Quanti ne preparate? «Una volta impastavo a mano anche 130 tuorli, adesso ho ridotto un po’ la quantità», precisa la signora Maria.
Siete un bel gruppetto in cucina, ma com’è oggi essere una donna chef? «Meglio di qualche anno fa, di sicuro, ma rimane difficile. All’inizio si percepisce un velo di diffidenza, come se ci fosse sempre bisogno di dimostrare che si è all’altezza».
Solo in cucina o anche in sala? «Il lavoro del cuoco è sempre sotto esame, in cucina è spesso più duro. Il mio approccio è di apertura verso chi sta qui tutti i giorni, fianco a fianco; desidero che chi lavora con me comprenda le idee che sono alla base dei miei piatti. Purtroppo molti credono ancora che in cucina si viva come in caserma, ecco, questo non è il mio stile. Chi non ha l’intelligenza di capire che l’accoglienza e la calma non sono sinonimi di lassismo può andare altrove».
Com’è la vostra giornata? «Piena, senza un minuto di respiro. Colazione con spremuta e tè, alle 7 vado a fare un giretto con Igor (un meraviglioso Weimaraner, un bracco tedesco di sei anni, molto vivace, ndr), poi raggiungo Massimo che alle 7.30 apre il Forno Mollica, passo in cucina per controllare che i ragazzi abbiano trovato le indicazioni che lascio su un foglio in bella vista già dalla sera prima, infine porto avanti impasti e lievitazioni, che hanno tempi ben precisi e che da più di tre anni scandiscono le mie giornate».
Come mai avete deciso di aprire anche un forno? «Il Mollica è nato per un’esigenza concreta: avvicinarci agli abitanti locali. Il ristorante gastronomico rimane ancora legato all’occasione speciale, al momento da festeggiare. Nella zona ci conoscono e ci stimano tutti, così abbiamo pensato a una formula adatta alla quotidianità. Al Mollica si può venire dalle 7.30 per un caffè, una fetta di torta, una brioche e per comprare il pane, a pranzo per uno spicchio di pizza alla pala, un’insalata, un piatto di tagliatelle al ragù o di friggione (una pietanza a base di cipolle e pomodoro) e alla sera per l’aperitivo e per mangiare una pizza. Tutto preparato con lievito madre e farine biologiche macinate a pietra».
Il simbolo del ristorante è una M. Una lettera che ricorre nella vostra famiglia. Ha un significato? «Graficamente», dice Massimo, «è una lettera forte, ben salda, che poggia su tre punti, così come la nostra famiglia, unita e tenacemente legata alla terra e alla realtà. Mario Mazzucchelli, Maria, Massimo, Mascia, Marconi. Solo Aurora fa eccezione, nel senso che sa essere eccezionale. Così io considero la sua cucina e così cerco di raccontarla ai nostri ospiti quando sono in sala».
Aurora, qual è la caratteristica principale della sua cucina? «L’equilibrio e la capacità di unire tanti ingredienti in una sola preparazione sapendo conservare i sapori, senza sovrapposizioni. Da qualche tempo, poi, ho messo a fuoco un mio stile ricorrente: avvolgo e racchiudo, come se volessi proteggere gli ingredienti. Nella vita come nella cucina, sento il bisogno di preservare le cose che amo. I tortellini rappresentano bene questo sentimento di affetto e cura».
Lei ha un ingrediente preferito? «Quello che devo ancora scoprire. E sono sempre alla ricerca».