Esperienze
Una giornata in un’azienda agricola lombarda per capire che cosa rende le uova veramente buone. E cioè più gustose, più nutrienti e più etiche
La casa delle galline felici Diana Ricotti
Ogni mattina Diana Ricotti parte da Milano per raggiungere la sua azienda Principe di Fino, nella campagna subito fuori il comune di Fino Mornasco, in provincia di Como. Qui, insieme con il suo braccio destro Rosemary e con l’aiuto degli altri quattro dipendenti, si dedica al suo Progetto. Lo scrivo volutamente con la P maiuscola, perché da come me ne parla si capisce che la sua non è semplicemente un’azienda produttrice di uova bio, ma una visione nella quale Diana crede con tutta se stessa.
«Per me un uovo come si deve è un prodotto sociale. Certo, il mio costa di più di quello che trovi comunemente, ma ti permette di nutrire i tuoi figli con un cibo di altissimo livello e tutti possono permettersi un uovo della massima qualità; per la carne non vale lo stesso. Oggi il pubblico è pronto ad affrontare una spesa superiore per avere un prodotto molto buono. E noi abbiamo assecondato la richiesta, ingrandendo a mano a mano l’azienda, che oggi conta tre case». Case? Diana chiama così i pollai dove vivono le sue 2100 galline: una piccola sfumatura linguistica che però racconta molto sulla qualità di vita dei volatili. Arriviamo presto, per lasciare libere le galline di uscire a passeggiare in
pieno campo: un prato pieno di alberi da frutto, dove possono razzolare fino al tramonto, assaggiando i frutti (tutti biologici) caduti dai rami. Il loro nutrimento principale però, mi spiegano Diana e Diego, uno dei dipendenti, è il mangime che viene distribuito più volte al giorno dentro e fuori delle casette. «Le nostre galline si muovono continuamente, perciò mangiano molto di più delle altre, almeno quattro volte al giorno: il mangime è un mix di mais, erba medica e soia tritati, compattati e poi sgranati, per consentire una distribuzione più omogenea dei nutrienti. Tutto biologico».
Appena apriamo la porta, le galline escono chiocciando e si allontanano per la loro giornata all’aperto. Noi possiamo dedicarci a raccogliere le uova che hanno deposto in tranquillità nelle loro case; un piano inclinato le fa convergere su un nastro trasportatore, che le porta all’esterno evitando che si sporchino. Gli addetti le controllano una per una, puliscono a mano gli eventuali residui e le dividono per colore (le classiche e le bianche delle galline livornesi) e per calibro. Ogni giorno circa 1500. Oggi, dopo avere fatto conoscenza con le galline della «casa uno», dove abitano le più giovani, tocca a me raccogliere le loro preziose uova, e mi sembra davvero di prendere in mano un tesoro, al suono della musica classica che allieta ancora di più un ambiente già perfettamente armonioso. Mozart e
coccod•, cinguettii e assenza di traffico. Capisco perché Diana ha definito le sue «galline felici» e capisco che ogni particolare è importante per la bontà dell’uovo. L’alimentazione è un fattore basilare, certo, ma lo è altrettanto il modo di vivere, che le mantiene sane, permette di evitare i farmaci e concentra nell’uovo i nutrienti assimilati naturalmente, senza forzature.
Ma è tempo di andare avanti con il lavoro; dalle case le uova sono trasportate nei locali della cascina, dove vengono timbrate e confezionate: «Il packaging deve essere impeccabile: da una perfetta timbratura al foglietto che alleghiamo alle uova azzurre delle galline Araucana, tutto deve rendere giustizia al valore di quello che vendiamo», mi spiega Diana. «Le uova azzurre sono pregiate perché le galline Araucana, una razza molto rara, ne depongono una ogni quattro giorni. Per questo sono veri e propri elisir di
nutrienti, con un tuorlo particolarmente cremoso e saporito». Ma dove si comprano le uova felici? «Per ora ho una rete di distribuzione a Milano (sul sito principedifino.it si trovano tutte le informazioni, ndr), ma conto di avviare un e-commerce con consegna a casa o presso punti di raccolta dove mezzi ecologici porteranno le uova ordinate».
E nel resto d’Italia? Qui ho la conferma che il Progetto di Diana è ricco di sviluppi futuri: l’imprenditrice sta lavorando alla definizione di un disciplinare, un insieme di regole che intende «esportare» grazie a mezzi molto evoluti: con una start up di ingegneri sta mettendo a punto delle colonnine di rilevamento dati da collocare nei pollai, in grado di garantire il rispetto delle regole. Biologica, ecosostenibile (allo studio la copertura di un tetto con pannelli solari), super tecnologica, in continua evoluzione: un’impresa del futuro? «Sì, ma anche del presente. Ogni giorno ho un incredibile tornaconto in termini di felicità: dei miei clienti, mia personale e delle persone che collaborano con me, che vedono crescere l’azienda in cui vivono e credono. Sono lavori dimenticati ma che si stanno riscoprendo, perché possono restituire serenità. Da qui l’idea del disciplinare, per espandere con un franchising il mio modello. Per produrre cose buone, in modo naturale, creando un sistema virtuoso in cui stare tutti bene: animali, uomini, mondo».