La Gazzetta dello Sport - Bologna
LEAO, NIENTE REAL: GUARDA GLI AMICI
Tecnico della Roma La vittoria nel derby gli ha dato una dimensione totale. Il gruppo è tutto con lui San Siro può dargli la corona Daniele avverte «Ci servirà tanto carattere»
Sono in tanti a chiedersi cosa frulli nella testa dei due texani più taciturni della storia. Nel caso di Daniele De Rossi è fin troppo facile indovinarlo, alla faccia delle allegre comari che continuano a rosolare il finto dilemma del rinnovo o meno del contratto, vuoi per tenere viva la bottega del pettegolezzo o perché gli piace proprio il dilemma. «Questo fucking guy ci ha salvato la pelle!», ecco cosa pensano i Friedkin. Cosa non possono non pensare.
La riscoperta
Quanto meno li ha salvati da una grana gigantesca, il ragazzo di Ostia. Non sono tanto i risultati, a dir poco impensabili: 8 vittorie, 2 pari, il solo ko con l’Inter, peraltro messa sotto per un tempo come nessuno ha fatto quest’anno in Italia. Il vero miracolo è un altro. De Rossi ha fatto qualcosa di paragonabile alla separazione delle acque del mar Rosso, solo che invece del bastone di Mosè ha steso la sua passione non meno nodosa oltre che la sua competenza. Nel poco tempo a disposizione ha scongiurato il disastro. Il malumore per la cacciata di Mou, agitato a dovere, stava già montando in rabbia, rivolta, contestazione. Si temevano giorni, settimane e mesi lividi, non ci sono stati. Si temeva la desertificazione dell’Olimpico, lo spegnimento radicale del fuoco romanista, non c’è stato. Anzi. Grazie a De Rossi, il romanista ha riscoperto di amare una squadra, la sua storia, i suoi colori e non un seduttore di passaggio, per quanto irresistibile. Mou è evaporato con una rapidità oltraggiosa ai suoi occhi.
La differenza
Daniele ha subito marcato la differenza con chi
De Rossi ha le idee chiare: «Del Milan temo la grande qualità, hanno giocatori che possono fare male a chiunque. Servirà una grande partita, dal punto di vista del gioco e del carattere. Ma se penso a come si è sacrificato nel derby un giocatore del livello di Dybala, sono sereno. La vittoria nel derby a Roma a volte ubriaca, invece i ragazzi li ho visti bene. Qualche sorriso in più non mi fa vedere i fantasmi. Prima della Roma ho preso tante porte in faccia, in 7-8 mesi. Ma ora sono qui: sono stato fortunato. E ora sono felice».
lo precedeva. Non ha nemmeno tentato un’emulazione. Mou, nella sua buona fede in gran parte orientata verso se stesso, si considerava un dono venuto dal cielo. De Rossi non ha esitato a dichiararsi lui il beneficiato, il fortunato. Era la Roma il dono piovuto dal cielo. Radicale sovversione della prospettiva, con una conseguenza immediata. La squadra lo ha avvertito come uno di loro, riconoscendogli la personalità e le competenze per essere sopra di loro. Da Mou a De Rossi si è persa l’odiosa sensazione che la tua vita calcistica dipendeva dagli umori del Leader, che il tuo status di calciatore viveva di luce riflessa. Di sicuro, quella di De Rossi allenatore della Roma, come il più inatteso temporale, poteva essere grandine o arcobaleno. Di sicuro, è la storia calcistica più interessante degli ultimi anni. Lo sa bene chi conosce Daniele, quanto lo ha torturato il passaggio a vuoto di Ferrara, il dubbio angoscioso d’aver dato con una mossa sbagliata scacco matto a se stesso. Più facile fare breccia nella massa cardiaca già predisposta dei tifosi, molto più complicato guadagnarsi la credibilità presso i giocatori e la non belligeranza dei fucilieri di Mourinho. De Rossi era un principiante chiamato a scalare l’Everest con le unghie di un lattante. Ha fatto i suoi errori, a volte per la smania di strafare, ma si è quasi sempre corretto in tempo reale.
La svolta
Il derby vinto è stata la svolta. I fucilieri già attizzati dal mezzo fiasco di Lecce hanno dovuto rimettersi sotto coperta, aspettando tempi migliori. La risposta vera è venuta dalla squadra. Quel giorno all’Olimpico, in quella mezz’ora finale, il Magnifico Debuttante, uno dei 5 uomini più emotivi del calcio italiano, ha capito d’avere la squadra al suo fianco, nel vedere il suo geniale efebo, Dybala, gettarsi a corpo morto nelle mischie o il ragazzo, Bove, forse il più penalizzato nel cambio di allenatore, giocare dieci minuti da gladiatore. Trascinato a fine partita, il reticente mister, da tutta la squadra, sotto e dentro la sua Sud. E, la più bella di tutte, i più scalmanati erano proprio i fedelissimi di Mou, a cominciare da Mancini e Dybala. Nella giornata del derby De Rossi capisce che quella squadra stava lottando così per sé, per la gente, ma soprattutto per lui, per regalargli l’orgasmo che meritava. Era questa la felicità che lo faceva zompare alla fine in braccio a chiunque. Non c’è uomo più felice di chi riconosce nell’impresa dei suoi una dedica a chi li guida. Quanto sta succedendo al Liverpool con Klopp. In quel caso è l’addio alla fine di un lungo viaggio. Per De Rossi è l’auspicio all’inizio di un viaggio che ci si augura il più lungo possibile. S.Siro, lo stadio delle grandiose liturgie calcistiche, si presta alla grande, cornice ideale di un reiterato e tormentato sogno che ha osato diventare realtà.
La situazione
I fedelissimi di Mou sono quelli che hanno dato tutto: il cuore di Mancini, Dybala e Bove