La Gazzetta dello Sport - Cagliari

A TUTTO CARLOS

«Ancelotti c.t. del Brasile? È un vincente, farebbe bene»

- Carlos Dunga NATO A IJUI (BRASILE) IL 31 OTTOBRE 1963 RUOLO ALLENATORE

Dunga in Brasile ha giocato con Internacio­nal, Corinthian­s, Santos e Vasco da Gama prima di approdare nell’87 in Italia nel Pisa con cui ha vinto la Mitropa Cup. L’anno dopo è passato alla Fiorentina per 4 stagioni. L’ultima squadra italiana è stata il Pescara, prima di emigrare in Giappone nel Jubilo Iwata (campionato vinto) e chiudere in patria nella sua prima squadra, l’Internacio­nal. È in nazionale che Dunga ha avuto le migliori soddisfazi­oni: campione del Mondo nel 1994, due Coppe America e un argento olimpico. Anche da c.t. del Brasile (2006-2010, 2014-2016) ha vinto una Coppa America e una Confederat­ions Cup.

▶ Quella di Neymar, una storia non all’altezza del suo talento?

«L’errore è pensare che un grande giocatore o un bravo allenatore da soli possano bastare. In Argentina ci hanno messo dieci anni per capire che Messi e la squadra devono giocare l’uno per l’altra».

▶Si diceva di Messi e si continua a dire di Neymar: non hanno la stoffa del leader.

«Impression­ante. Passiamo la vita a discutere talenti come Messi e Neymar invece di cercare di capire come sfruttarli al meglio».

▶Tu un Mondiale, da capitano, l’hai vinto. Stati Uniti, 1994, in finale contro di noi, vendicando Zico, Falcao e compagni.

«La nostra stella nel ’94 era Romario, ma Romario capì che era importante giocare connesso alla squadra. È stato così con Pelè, con Garrincha, con lo stesso Ronaldo nel 2002».

▶Il tuo Brasile, il meno brasiliano della storia.

«Avevamo giocatori da tutto il mondo e ognuno di loro era un leader nella sua squadra. Non importa che fosse una squadra in lotta per lo scudetto o per non retroceder­e. Bisogna ripartire da qui. Giocatori competitiv­i che non sopportano di perdere».

▶La mentalità...

«Il calcio è fatto di quattro parti: tecnica, fisica, tattica e mentale, la più importante. Me lo spiegò Bearzot una sera a cena: lui voleva l’uomo prima del calciatore. Uno disponibil­e a lasciare l’anima sul campo».

▶Tre immagini da quella finale di Pasadena.

«La prima, il rigore segnato. Una responsabi­lità stupenda. L’occasione di Bebeto mancata nel finale. La terza, Baggio e Baresi in ginocchio dopo aver sbagliato i rigori. Il calcio sa essere molto crudele. Baresi si era operato al menisco per giocare quella finale. Baggio aveva trascinato l’Italia con i suoi gol».

▶Arrigo Sacchi era l’allenatore di quell’Italia. Il grande innovatore di quegli anni?

«Ancora con i paroloni. Sacchi è stato un allenatore importante, ma chi si ricorda di Zagallo? Nel Mondiale del ’70 giocò con cinque numeri 10 là davanti. Impossibil­e solo pensarlo. Guardiola lo fece nel Barcellona e tutti a celebrarlo, ma Zagallo l’aveva già fatto nel ’70».

▶A cena con il nemico.

«Enzo Bearzot era un vero genio. Quella sera mi spiegò come aveva fatto a batterci: “Voi avevate un fenomeno, Zico. Noi avevamo una bestia, Gentile. L’ho messo a uomo su Zico per 45 minuti. Dovevo logorarlo fisicament­e”. Quell’Italia aveva anche grande qualità. Scirea era un mostro. Bruno Conti, fantastico. Bearzot ci ha prima disarmato con la forza, poi ci ha ammazzato con il talento».

▶Hai smesso di allenare dopo il tuo secondo incarico con la Seleçao.

«C’erano i miei figli da crescere, mi avevano seguito in Italia, Germania e Giappone. Dovevano costruirsi a casa la loro vita. Sarebbe dovuta arrivare una proposta cui era impossibil­e dire no. Non è arrivata».

▶Ti prende la Fiorentina nell’affare Socrates e ti manda al Pisa da Anconetani.

«Arrivo a casa e trovo il presidente che mette il cibo nel freezer per la mia famiglia in arrivo. Mai più successa una cosa simile. Mi sono detto: per quest’uomo darò la vita in campo».

▶Per◻onaggio unico e molto discusso.

«Diceva di essere democratic­o: “Sento tutti, ma poi decido io”. Era successo un casino con un calciatore che aveva lasciato la città senza il suo permesso. Mi chiama e mi chiede una mia opinione. “Lei va a cambiare la sua?”, gli chiedo. “No”. “Allora, non c’ho niente da dire”».

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I due Carlo indossa Carlos Dunga la maglia con Carlo è candidato del Brasile. per L’allenat la panchina della nazio
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