La Gazzetta dello Sport - Lombardia
Per sempre Rom ADDIO A RIVA, IL RE DEL GOL CORAGGIOSO, POTENTE, LIBERO TRA CAGLIARI E NAZIONALE
L’acqua come elemento naturale: cresciuto sulla sponda lombarda del lago Maggiore, diventato Gigi Riva sul mare della Sardegna. Nato a Leggiuno, Varese. Campione d’Italia all’Amsicora, il vecchio stadio del Cagliari. Morto ieri sera all’ospedale Brotzu di Cagliari. I quasi ottant’anni di Riva sono un compendio della storia d’Italia del secondo Novecento. Il dopoguerra, il boom economico, le tensioni degli anni Settanta, i lustrini degli Ottanta, il nuovo millennio, incomprensibile per chi come lui veniva dal pane duro.
Le origini
Orfano di papà Ugo all’età di nove anni, viene mandato in un orfanotrofio. Mamma Edis deve lavorare e non può fare in altro modo. Il piccolo Gigi ne frequenta tre, di istituti,tra Viggiù, Varese e Milano. Un’esperienza disgraziata, però forgiante. Lo racconterà in un’intervista a Gianni Mura: «L’umiliazione di essere poveri. Le camerate fredde. Il mangiare da schifo. Il cantare ai funerali anche tre volte al giorno. Il dover sempre dire “grazie signora, grazie signore” a chi portava il pane. I vestiti vecchi e usati. Pregare per i benefattori. Dover sempre stare sempre zitti, obbedienti, ordinati, come dei bambini vecchi». In quegli stanzoni si forgerà il furore, il tratto principale del Gigi Riva ala sinistra, numero 11, attaccante acrobatico. Gigi aveva la rabbia in corpo di chi era vissuto della carità pelosa dell’Italia degli anni Cinquanta. Un po’ più grande Gigi ritorna a casa e - tra un lavoretto e l’altro, gli inizi come apprendista imbianchino, poi operaio in una fabbrica di ascensori, addetto alla produzione dei pulsanti - si fa largo nei campi di calcio di Leggiuno e dintorni. Diventa la stella dei tornei estivi, ricchi di premi in natura. Rincasa la notte con salumi, burro, pacchi di pasta e qualche biglietto da mille lire. All’alba mamma Edis, operaia alla filanda, trova tutto sul tavolo e quasi si vergogna che il figlio riceva tanto ben di Dio per qualche gol segnato intorno al lago, ma è felice, di una felicità che dura poco. Si ammala di cancro e muore. Anche lei. Un’altra mazzata per Gigi e le tre sorelle, Lucia, Candida e Fausta. Quest’ultima, Fausta, diventa di fatto la capofamiglia e sarà per Gigi una madre-bis.
Cagliari
Il suo sinistro già tonitruante fa il giro del Varesotto, tutti sanno e parlano di quel giovane magro e potente. È il Legnano, squadra di Serie C, a portarlo via dal Laveno Mombello, il club del primo tesseramento. E nel 1962-63, con i lilla di Legnano, Gigi spacca, diventa un giovane di interesse nazionale. Durante l’intervallo di un’Italia-Spagna giovanile, a Roma, il Cagliari di Arrica lo acquista dal Legnano per 37 milioni di lire. Il Bologna prova a rilanciare, ma il presidente del Leggiuno rispetta la parola data e il 15 giugno 1963 Riva sbarca all’aeroporto di Elmas, con un volo a tappe, Milano-Genova-Cagliari-Alghero. Lo accompagna la sorella Fausta. Li alloggiano in un hotel con vista sui fuochi della Saras, la raffineria dei Moratti a Sarroch: «Quella è l’Africa?», domanda il giovane Gigi, che della Sardegna non voleva saperne. “Tanto ritorno subito”, aveva detto prima di partire. Ci resterà per tutta la vita, più sardo dei sardi. Nel 1963-64 Gigi Riva trascina il Cagliari in Serie A. Si integra in fretta, si fa gli amici pescatori, esce in mare, vuole rimanere dov’è.
Rombo di Tuono
Il Cagliari si stabilizza in Serie A, il crescendo di Riva è impressionante: 9 reti in A nel 1964-65; poi 11 (1965-66); 18 (1966-67), 13 nel 1967-68 stagione successiva al primo grave infortunio, 20 nel 1968-69 del secondo posto; 21 nel 1969-70 dello scudetto. Riva fa gol di ogni genere, indimenticabile quello a Vicenza in rovesciata, ma le sue leve sono due: il sinistro devastante, inappellabile e ruggente; il colpo di testa declinato in vari modi: stacco dirompente e torsione oppure a volo d’angelo, come in Nazionale contro la Germania Est. Il 25 ottobre 1970 il Cagliari con lo scudetto sul petto vince a San Siro per 3-1 contro l’Inter e Gianni Brera scrive: «Oltre 70mila spettatori: se li è meritati Riva, che qui soprannomino Rombo di Tuono». Brera ha preso ispirazione da “Cenere”, romanzo di Grazia Deledda, scrittrice sarda, Nobel per la letteratura nel 1926. «L’ombra addensavasi, il vento urlava sempre più forte, con un continuo rombo di tuono», scrisse Deledda in una pagina. Rombo di Tuono, soprannome
Gazzetta.it
Campione d’Italia nel ‘70, campione d’Europa nel ‘68, vicecampione del mondo nel ‘70, ha il primato di reti in Nazionale: un’ala sinistra fuoriclasse a modo suo
Simbolo nazionale perfetto, degno di un capo indiano quale Riva è. Gigi e la tribù del Cagliari, capeggiata da Manlio Scopigno, l’allenatore filosofo. Giovane, bello, calciatore: attorno a Riva, suo malgrado, si apre la caccia grossa dell’amore. Molte donne gli scrivono, lo inseguono. Lui, Gigi, si innamora di Gianna Tofanari, una donna sposata. Il marito la denuncerà per adulterio. Siamo intorno al ’68, l’amore è libero, le coppie si aprono, ma non c’è ancora il divorzio. Gianna viene etichettata come la Dama Bionda, contraltare della Dama Bianca di Fausto Coppi. Gianna e Gigi vivranno il loro sentimento, avranno due figli e cinque nipoti, ma non si sposeranno. Gigi l’anticonformista, sempre in direzione ostinata e contraria, come il suo poeta di riferimento, Fabrizio De André. I due si incontrano in una villa di Genova nel settembre del 1969 e, timidi come sono, devono trangugiare una bottiglia di whisky prima di aprirsi e raccontarsi. Franco Zeffirelli gli offre il ruolo di San Francesco in un film, per un cachet da 400 milioni di lire, ma Gigi risponde no, grazie. E Gigi rifiuta tutte le proposte degli squadroni del Nord. Juve, Inter e Milan ci provano a ripetizione. L’Avvocato Agnelli e Boniperti a un certo punto, nel luglio del 1973, mettono sul tavolo un pezzo di Juve - Bettega, Gentile, Cuccureddu - e due miliardi. Riva dice no, no e ancora no. Cagliari finché morte non ci separi.
Nazionale
Da oltre cinquant’anni, dall’ottobre del 1973, Gigi Riva possiede il record di capocannoniere assoluto della Nazionale, 35 reti in 42 presenze, e ancora non si vede all’orizzonte chi possa sfilarglielo. Neppure Paolo Rossi, il Pablito di Spagna 1982, ci è riuscito. Riva per sempre, campione d’Europa a Roma nel 1968, suo uno dei gol nel 2-0 della finale bis contro la Jugoslavia, e vicecampione del mondo a Messico ‘70, con l’urlo garbato di Nando Martellini - “Riva, Riva, Riva!” che ancora romba nelle orecchie di milioni di boomer italiani, disperatamente aggrappati alla notte di Italia-Germania 4-3. Riva e la Nazionale, un rapporto viscerale ai confini del masochismo. Riva alla maglia azzurra ha donato due gambe: il perone della gamba sinistra, il suo piede sinistro, fratturato contro il Portogallo nel 1967 a Roma e l’altro perone, il destro, rotto a Vienna contro l’Austria, per causa di un’entrata cattiva di Norbert Hof, oscuro difensore assurto a immeritata fama. Gigi Riva, attaccante coraggioso e spericolato, non tira mai indietro le gambe e lascia il calcio giocato nel 1976 a causa di un infortunio, uno strappo muscolare violento, agli sgoccioli di un Cagliari-Milan malinconico. C’è molto di Riva in questa sequenza di dolori e di lacrime: l’orfanotrofio, i lutti, le ossa rotte. Il rombo del tuono annuncia sempre una pioggia forte. Riva viveva come giocava, esasperava i limiti dell’anima e ci piace pensare che lo abbia fatto fino all’ultimo, che la morte lo abbia colto con la specie di sorriso del Pescatore di De André. Quando Gigi Riva tornerà/ ci troveranno ancora qua/ Con la vita in fallo laterale/ e il sorriso fermo un po’ a metà: sono versi di Piero Marras, cantautore che a Riva ha dedicato una canzone. Rombo di Tuono per sempre. 6’17”
Un’idea di Brera