La Gazzetta dello Sport - Lombardia
Da rito dei gesti bianchi nei circoli esclusivi a tifo e cori da stadio
Il tennis nasce come fenomeno di élite e si trasforma, dal 1960, in sport popolare con milioni di appassionati
C’era una volta lo sport dei gesti bianchi, secondo la felice definizione di Gianni Clerici, il poeta della racchetta. Era praticato da gente ricca, chiusa in circoli interdetti ai comuni mortali, in tenute immacolate, con poca voglia di sudare e molta di esibire. Accadeva così più o meno in tutto il mondo. Un fenomeno di élite, felice di esserlo. Tutto cominciò a cambiare negli
Anni 60 del Novecento, quando la “working class” scoprì che il giochino era appassionante e in realtà buono per ogni tasca, nei sempre più diffusi campi pubblici. E l’onda crebbe a dismisura nei ’70 e ’80, quando comparvero i Borg e i McEnroe, e da noi i Panatta e gli altri tre moschettieri della Davis: Barazzutti, Zugarelli e Bertolucci.
Quello fu il punto di svolta e l’ancien regime fu spazzato via, al punto che i famosi circoli per decenni regredirono malinconicamente a ritrovi per giocatori di bridge: l’agonismo vero si faceva altrove.
Azzurri Proprio grazie ai quattro azzurri, e alle imprese favolose di un 1976 pazzesco di Adriano (Roma, Parigi e coppa Davis in sequenza) scoprimmo allora che il Foro Italico poteva far esplodere il suo tifo e i suoi cori come accadeva da sempre nel vicino Olimpico per Roma e Lazio. Gli appassionati italiani cominciarono ad entusiasmarsi per qualcosa di diverso dalla nazionale di calcio e dai rispettivi club: anche Thoeni, la Valanga Azzurra, e poi Tomba fecero uscire lo sci dalle valli. In Tv spaccava. Ma non erano, almeno all’inizio, tempi di televisioni private, e ovviamente di Internet e telefonini: tutto si misurava sui titoli dei giornali e seguiva l’andamento delle carriere dei nostri eroi. Declinati quelle, la marea decrebbe ineluttabilmente. Perché questo è il segreto di Pulcinella: tutto si fa se esiste un Panatta, oggi un Sinner (e un Berrettini, non dimentichiamolo), oppure un mostro sugli sci, o una Pellegrini. È la condizione necessaria perché la parrocchia degli appassionati di sempre cresca all’istante. È accaduto ripetutamente da novembre in poi. Per decenni, dopo quel 1976 magico, il tennis maschile ha vissuto di volenterosi e medi interpreti, senza accendere i sogni delle masse. L’interesse popolare è tornato alto con quattro straordinarie donne negli anni Duemila: Schiavone, Pennetta, Errani, Vinci. Che insieme fanno due titoli dello Slam, altre tre finali e il Grande Slam di doppio, oltre a quattro Federation Cup, la Davis femminile. Purtroppo, però, le nostre giocatrici sono arrivate al top quasi tutte verso fine carriera, senza poter far massa critica di successi in sequenza. E così abbiamo dovuto aspettare Torino, la Davis e l’Australian Open perché l’uragano di emozioni si abbattesse sui nostri teleschermi. La differenza fra il tennis e le altre discipline è il suo impatto globale: Sinner è diventato da noi, giustamente, un eroe nazionale, ma ha milioni di tifosi nel mondo grazie ai social.
Serbatoio Ma ora che cosa succederà in Italia? L’esperienza ci dimostra che cresceranno sensibilmente i tesserati ma non al punto da trasformarci in un popolo di tennisti: tuttavia, il serbatoio d’interesse si riempirà di nuovo ad ogni impresa di Jannik e dei suoi amici. Questo è garantito. Anche perché il tennis può giovarsi da noi di un’altra impareggiabile carta vincente: è raccontato in Tv da uno stuolo di giornalisti ed opinionisti di impressionante competenza e capacità comunicativa.
Molti colleghi e talent meritano convinti applausi e ringraziamenti. Ma ne cito una per tutti: Barbara Rossi, un’ex importante giocatrice, poi maestra e allenatrice, che è capace di far innamorare del suo sport e di raccontarlo e spiegarlo nel dettaglio, senza risultare mai pedante, con garbo e voce accattivante. Eurosport ha rilasciato un breve filmato sui social del momento in cui Sinner ha battuto Djokovic: in cabina, si è alzata in piedi e applaudito. Era commossa. Come noi. Ma con misura, proprio come Sinner. Con giocatori e guide così, continueremo per anni al bar a parlare di qualcosa di diverso del Var e dell’ultimo rigore non dato. Non si torna indietro.