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LA TREGUA PER GLI OSTAGGI: PROGRESSI DOPO IL VERTICE MA LA TENSIONE RIESPLODE PER I SOLDATI USA UCCISI
A Parigi si tratta su due mesi di stop e la liberazione di 100 rapiti Nuove accuse all’agenzia dell’Onu: anche la Francia ritira i fondi Strage di militari americani al confine giordano. Biden: reagiremo
I nodi da sciogliere Il Mossad al tavolo con Stati Uniti, Qatar ed Egitto per cercare una nuova via d’uscita, pur momentanea, mentre il segretario dell’Onu Antonio Guterres (nella foto), chiede che «possano andare avanti» le attività dell’Unrwa, sotto accusa per il presunto ruolo di alcuni dipendenti nei raid di Hamas del 7 ottobre. Una decina di Paesi hanno tagliato i fondi: timori per le ricadute sulla distribuzione degli aiuti a Gaza Si tratta per arrivare a due 1 mesi di tregua a Gaza, che consentirebbero la liberazione di almeno un centinaio di ostaggi israeliani ancora nelle mani di Hamas. Ma un attacco contro le truppe americane rischia di far salire ancora la tensione in tutto il Medioriente.
L’accordo sarebbe vicino, anche se da Israele frenano le indiscrezioni del New York Times. E «alcuni progressi» sarebbe stati compiuti proprio ieri, dopo il vertice di Parigi, a cui ha partecipato persino il capo del Mossad, David Barnea, che ha incontrato delegazioni diplomatiche degli Stati Uniti, del Qatar e dell’Egitto, per ritoccare la bozza dell’accordo per il rilascio degli ostaggi ancora trattenuti a Gaza. Nella bozza dei negoziati, c’è una pausa nella guerra da parte di Israele, che dovrebbe durare in tutto due mesi (si parte con un mese di tregua, prorogata in caso di rispetto del patto sui prigionieri), in cambio del rilascio, da parte di Hamas, di circa 100 ostaggi israeliani (sul totale di circa 130, secondo le ultime stime). La firma sul “patto” potrebbe arrivare nel giro di qualche giorno, sempre che i negoziatori riescano a sciogliere gli ultimi nodi che ancora dividono le parti.
Sembrerebbe un cambio di 2 passo, nella politica di Israele.
Il pressing delle opposizioni, e il malcontento popolare (non solo dei familiari degli ostaggi), stanno sicuramente pesando sulle scelte del premier israeliano Benjamin Netanyahu. Il quale, fino a pochi giorni fa, negava ogni possibilità di una tregua, considerata una «concessione ad Hamas». Ed è ormai nota l’irritazione della Casa Bianca, per la linea troppo intransigente del governo israeliano, nonostante le indicazioni del presidente Joe Biden, fautore di un approccio meno aggressivo nei confronti della popolazione di Gaza. Il sostegno di Washington a Tel Aviv potrebbe non essere infinito. Secondo i media Usa, Biden starebbe valutando di rallentare o sospendere la fornitura di alcune armi offensive a Israele, come leva per convincere Netanyahu a ridurre l’offensiva militare a Gaza. Questi, dunque, i rumors. Ma da Washington, proprio ieri, alcune fonti ufficiali hanno smentito le indiscrezioni giornalistiche, confermando che il sostegno statunitense a Israele rimane immutato. «Israele ha il diritto e l’obbligo di difendersi dalla minaccia di Hamas, rispettando il diritto umanitario e proteggendo le vite dei civili, e restiamo impegnati a sostenere Israele nella sua lotta contro Hamas. Lo facciamo dal 7 ottobre e continueremo a farlo. Non c’è alcun cambiamento nella nostra politica», ha spiegato un portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale della Casa Bianca. Nonostante tutto, se la tregua ci sarà, qualcosa sarà cambiato nella linea dura di Netanyahu.
Continuano le accuse all’Agenzia 3 dell’Onu per i rifugiati palestinesi.
Secondo l’intelligence israeliana, alcuni esponenti di Unrwa, avrebbero avuto un ruolo attivo, uccidendo e realizzando i sequestri nei blitz di Hamas del 7 ottobre. Gli 007 di Israele ritengono che ci siano anche altri dipendenti dell’Unrwa che hanno trasferito armi all’interno della Striscia. E da ieri, in seguito alle accuse, anche la Francia ha deciso di “congelare” i finanziamenti. Parigi si unisce nella sospensione degli aiuti ad altri 8 Paesi, tra cui l’Italia. E così, il direttore di Unrwa, Philippe Lazzarini, annuncia il conseguente stop alla distribuzione di aiuti (cibo e medicinali, ma anche la gestione dei rifugi) per quasi due milioni di persone nella Striscia. «Le decisioni di questi Paesi minacciano la nostra opera umanitaria nella regione, incluso e in modo particolare a Gaza», ha detto Lazzarini. Il segretario delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, assicura che «i dodici dipendenti di Unrwa risponderanno per le accuse a loro carico», ma allo stesso tempo chiede che «i Paesi rendano possibile il lavoro dell’agenzia». Ad aggravare la loro posizione, anche alcuni messaggi nelle chat di Telegram, in cui – da parte di qualcuno – trapelava una certa condivisione dell’azione di Hamas. Turchia, Giordania, Egitto e Iran sono tra i Paesi schierati con l’organizzazione: chiedono che possa «ripartire con le attività umanitarie».