La Gazzetta dello Sport - Lombardia

«L’UNIVERSITÀ PER VINCERE LA NOIA ALLA JUVE PERDERE È UNA TRAGEDIA» VOGLIO LA LAUREA

- di Walter Veltroni s TEMPO DI LETTURA

Andrea Cambiaso conferma la vecchia teoria di un autorevole collega giornalist­a: «Non incontrera­i mai un giocatore di calcio forte che non sia anche intelligen­te. Non importa la forma dell’intelligen­za, se quella levigata da studio o formazione familiare di Socrates o quella istintiva di Garrincha. Non si può essere stupidi e giocare bene a pallone». Cambiaso è un ragazzo intelligen­te, simpatico, gentile, doti in via di estinzione come i Panda. E appartiene alla generazion­e che stiamo raccontand­o: Raspadori, Buongiorno, Fabbian. Infatti gli chiedo come faccia, un ragazzo come lui, a sfuggire alle banalità imposte dai riti delle domande sempre uguali, come quelle che si facevano ai ciclisti del Giro d’Italia dopo il traguardo. La risposta, infatti, non è banale. «Cerco sempre di esternare i miei pensieri, le mie emozioni. Lo faccio in modo sincero e diretto. Ma sono cosciente che il calcio in Italia è una malattia e ogni volta che si apre bocca si rischia di scontentar­e o ferire qualcuno. Per questo il regno dei luoghi comuni è il più tranquillo: “Speriamo di far bene” “Il mister mi dice dove giocare” “Gli avversari sono temibili”. Se stai in quel recinto non hai problemi. E io stesso talvolta non sfuggo a questa comodità».

► Le chiedo del rapporto con i social. Anche lì…

«Io mi sono imposto il divieto di usare Instagram sul cellulare, troppa dipendenza, come con la Playstatio­n. Divertenti, ma a dosi contenute. L’ho tenuto sul computer perché mi sono reso conto che per tanti bambini la mia presenza è importante e posso dire o fare qualcosa di utile. I social possono produrre molti rischi, se usati troppo o male. È una giungla affascinan­te, ma senza controllo».

► Del razzismo nel calcio, piaga infinita, cosa pensa?

«Che è assurdo anche solo parlarne. Che esista un’idea di discrimina­re gli esseri umani sulla base del colore della pelle nel 2024 è pura follia».

► Che idea si è fatto del suo futuro dopo il campo e del futuro in generale? Cosa la preoccupa di più per la sua generazion­e?

«Per quanto mi riguarda sono concentrat­o totalmente sull’oggi. Ho 24 anni e il dopo mi sembra lontanissi­mo. Cerco di stare bene, sereno, di godermi questa condizione di cui riconosco il privilegio. Per il nostro tempo ciò che più mi atterrisce è la guerra. Tutti quei morti in Ucraina, a Gaza, In Israele. Ma sembra che gli esseri umani siano impotenti, quando quella macchina comincia a funzionare».

► È lecito che un calciatore di Serie A si annoi?

«Abbiamo molto tempo libero, forse persino troppo. E, se non stai attento, la noia è come un gorgo, ti risucchia. Io cerco di uscire, di ascoltare musica, vedere serie o film, leggere qualche libro. Ma è anche per evitare quel vuoto che sto pensando di iscrivermi all’università, farei felice i miei e riempirei di senso il tempo».

► Già, i suoi. Che fanno di lavoro?

«Sono contento che mi faccia parlare della mia famiglia. Siamo in quattro: papà Ugo, mamma Ilaria e mio fratello Alberto. Siamo di Genova. Mio padre è direttore di una società di guanti in lattice, mia madre cura le buste paga di un’azienda. Io sono immensamen­te grato alla loro intelligen­za e al loro rispetto per le mie passioni e le mie scelte. Presa la maturità all’Italo Calvino, il liceo tecnico informatic­o che frequentav­o, mio padre mi ha infatti concesso di fare un anno sabatico in cui concentrar­mi su quello che poi sarebbe diventato il mio lavoro, il calcio. Loro mi hanno sempre fatto capire il valore dello studio ma, al contempo, mi hanno lasciato libero di seguire la mia febbre per il pallone».

► Le prime volte che ho visto giocare Cambiaso ho pensato che finalmente la Juventus e la Nazionale avessero trovato il nuovo Cabrini, poi però è stato schierato ovunque…

«Io mi sento un giocatore di fascia, dove forse ho attitudini non frequenti, come quella di accentrarm­i, di essere un esterno che viene dentro il campo. Non so se sia più destro o sinistro, ne abbiamo parlato con il mister senza concludere; vado bene, sembra, da tutte e due le parti. D’altra parte uno dei miei due idoli calcistici è Cancelo, che gioca indifferen­temente sui

I calciatori banali? Se stai nel recinto dei luoghi comuni rischi molto di meno

Mi sono imposto di non usare Instagram sul cellulare perché ne sarei poi dipendente Il laterale bianconero: «Studiare riempirebb­e il tempo libero Io all’Europeo? Ci spero, dipende da me»

due lati. L’altro è Dybala, fenomeno assoluto. Da ragazzo era Milito, noi siamo una famiglia genoana. Infatti la prima maglietta che ho avuto, da bambino, era di Diego Perotti…».

► Com’è arrivare alla Juve, si sente davvero la differenza tra l’aria della Continassa e le altre atmosfere?

«Sì, è un’altra cosa. Ogni giorno arrivo qui con il sorriso a trentadue denti. Questa maglia porta con sé tanta responsabi­lità. E non è una affermazio­ne banale, una di quelle. No, qui perdere è una tragica anomalia, vincere la normalità. Non so se sia giusto, ma è così, credo da sempre. Il mister Allegri è stato molto bravo a farmi capire subito questa diversa concezione, questo modo di essere della Juve. Il nostro obiettivo per quest’anno non è cambiato mai, checché se ne sia detto. Era di tornare in Champions, resta di tornare in Champions. E ci torneremo».

► Bologna in questi giorni è fuori di sé. Lei ci ha giocato, fino all’anno scorso…

«Meraviglio­sa città e grande società. Per me è stata importante. Credo che se non fossi passato di lì sarei arrivato meno pronto alla Juve. Thiago Motta è un allenatore bravo, innovativo, capace di unire un gruppo. E in città, ora, tra la Virtus di basket e il Bologna c’è un clima euforico. Se lo meritano, specie i tifosi».

Oggi ne ho due: Cancelo è il mio modello in fascia, Dybala il fenomeno in assoluto

Senza Motta non sarei stato pronto per la Juve, Allegri mi ha fatto capire cosa è la Signora

► Giocatore intelligen­te, maglietta azzurra, con Spalletti che ama il cervello dei suoi giocatori non meno dei loro piedi.

«Quando sono andato, la scorsa volta, il mister mi ha colpito molto, proprio per la cura tecnica e ambientale che si capisce mette nel suo lavoro. Io spero molto di andare all’Europeo, ma dipende solo da me, dalla qualità di quello che saprò fare in bianconero».

Famiglia genoana: Milito era il mito e la mia prima maglia fu quella di Perotti...

► C’è un giorno della sua vita che vorrebbe rivivere?

«Il primo gol in Serie A alla seconda di campionato, GenoaNapol­i. Avevo 21 anni, e ho segnato avendo in tribuna tutta la mia famiglia. Mentre i compagni mi abbracciav­ano pensavo che ce l’avevo fatta: il mio sogno da bambino si era realizzato».

► E quello da dimenticar­e?

«La morte di mia nonna, nel 2018. Ero cresciuto con lei e le volevo molto bene. Oggi il principale rimpianto che ho è non poter dire ai miei nonni che gioco nella Juventus e in Nazionale. Mio nonno si entusiasma­va anche solo a vedermi in Serie D…».

 ?? ??
 ?? ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy