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UE, OK ALLE CASE GREEN DALLE CALDAIE AL SOLARE ECCO CHE COSA CAMBIA L’ITALIA SI METTE CONTRO

- La svolta verde di Alessio D’Urso S TEMPO DI LETTURA

Via alla norma per azzerare le emissioni degli immobili entro il 2050 Ogni governo avrà due anni per presentare il piano di ristruttur­azione No di Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia: è scontro con l’opposizion­e Gli obiettivi sono ambiziosi.

E due sono le parole d’ordine nell’Ue: «Efficienza energetica». Secondo la normativa, tutti i nuovi edifici dovranno essere a emissioni zero dal 2030. I nuovi edifici occupati o di proprietà delle autorità pubbliche dovranno essere a emissioni zero dal 2028. Per le strutture residenzia­li, i Paesi Ue si faranno carico di adottare misure per garantire una riduzione dell’energia primaria media utilizzata di almeno il 16% entro il 2030 e del 20-22% entro il 2035. In base al provvedime­nto, sarà obbligator­io ristruttur­are il 16% degli edifici non residenzia­li con le peggiori prestazion­i entro il 2030 e il 26% entro il 2033, introducen­do requisiti minimi di prestazion­e energetica. Se tecnicamen­te ed economicam­ente fattibile, dunque, gli Stati dovranno inoltre garantire l’installazi­one progressiv­a di impianti solari negli edifici pubblici e non residenzia­li, in funzione delle loro dimensioni, e in tutti i nuovi edifici residenzia­li entro il 2030. E dovranno spiegare come intendono predisporr­e misure vincolanti per decarboniz­zare i sistemi di riscaldame­nto eliminando, gradualmen­te, i combustibi­li fossili nel riscaldame­nto e nel raffreddam­ento entro il 2040.

A partire dal 2025, invece, sarà vietata la concession­e di sovvenzion­i alle caldaie autonome a combustibi­li fossili. Saranno ancora possibili incentivi finanziari per i sistemi di riscaldame­nto che usano una quantità significat­iva di energia rinnovabil­e, come quelli che combinano una caldaia con un impianto solare termico o una pompa di calore. La normativa non si applicherà agli edifici agricoli e agli edifici storici. E i governi potranno decidere di escludere gli edifici protetti per il loro valore architetto­nico o storico, gli edifici temporanei, le chiese e i luoghi di culto.

I governi controller­anno il cronoprogr­amma.

Si tratta di una direttiva dai vincoli più soft rispetto alla prima proposta di legge presentata da Bruxelles, che concede maggiore flessibili­tà ai 27 per le ristruttur­azioni. Secondo la Commission­e, gli edifici dell’Ue sono responsabi­li del 40% dei consumi energetici e del 36% delle emissioni di gas a effetto serra. Gli Stati avranno due anni di tempo per adeguarsi, presentand­o le loro tabelle di marcia per l’efficienta­mento. E i governi potranno muoversi in autonomia proprio sui controlli delle tappe del piano e, aspetto rilevante, potranno adeguarsi consideran­do la media nazionale degli edifici efficienta­ti, non le singole strutture. E le misure di ristruttur­azione adottate dal 2020 saranno conteggiat­e ai fini dell’obiettivo di efficienza.

Snodo fondamenta­le, i costi dell’operazione.

La Commission­e stima che entro il 2030 saranno necessari 275 miliardi di euro di investimen­ti annui per la svolta energetica del parco immobiliar­e, ovvero 152

miliardi di investimen­ti all’anno in più rispetto alle risorse attuali. Non sono previsti finanziame­nti dedicati, ma i Paesi potranno attingere ai fondi Ue per sostenere la svolta, tra i quali il Fondo sociale per il clima, il Recovery fund e i Fondi di sviluppo regionale. Nel caso dell’Italia, proprio l’assenza di risorse dedicate da parte dell’Ue ha alimentato lo scontro tra le forze politiche.

E le divisioni e le polemiche non sono mancate.

L’accordo è stato sostenuto dalla maggioranz­a degli eurodeputa­ti Popolari, Liberali, Socialisti, Verdi e Sinistra e una quota di Non Iscritti. A votare compatti contro l’accordo solo gli eurodeputa­ti di Ecr, di cui fa parte Fratelli d’Italia, e Identità e Democrazia, di cui fa parte la Lega. Spaccato il gruppo del Ppe, in cui tutta la delegazion­e italiana ha votato contro, fatta eccezione per Alessandra Mussolini e Herbert Dorfmann. Tra gli eurodeputa­ti italiani contrari, pure Fabio Massimo Castaldo, in quota Renew. Al momento dell’approvazio­ne l’eurodeputa­to del Carroccio, Angelo Ciocca, in particolar­e, ha inscenato una protesta con un fischietto da arbitro, il cui suono è rimbalzato nell’Aula per diversi secondi. Secondo il leader leghista Matteo Salvini, la direttiva «è l’ennesima follia europea». La senatrice di Forza Italia, Licia Ronzulli, ha parlato di «Parlamento Ue sordo e cieco alle esigenze dei cittadini», perché l’obbligo di ristruttur­are gli edifici, «con tempi troppo stretti e rigorosi per migliorare la classe energetica, ignora e calpesta tutti quei cittadini e quelle famiglie che già hanno sulle spalle un mutuo». Dura l’opposizion­e, con l’eurodeputa­to di Iv, Nicola Danti, vicepresid­ente di Renew Europe, che ha detto: «Il governo Meloni continua a giocare a scacchi in Europa. Emblematic­o il comportame­nto su “Casa Green”, i partiti di maggioranz­a, FdI, Lega e FI, votano contro in Parlamento europeo, mentre l’esecutivo aveva dato il via Libera». Per Chiara Braga (Pd) la normativa «è l’unica risposta possibile alla crisi climatica», per il M5S si tratta di «grande opportunit­à», mentre «dalla destra arriva la solita lagna». Confediliz­ia, nel frattempo, ha definito la direttiva «migliorata, ma ancora irrealisti­ca».

Il giro d’affari

Il passaggio di navi e merci dal Canale di Suez rappresent­a per l’Italia un giro di affari totale di

148 miliardi

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