La Gazzetta dello Sport - Puglia

Con Mou in Cha

- Di Filippo Maria Ricci

Lo abbiamo guardato con attenzione e qualcosa abbiamo scoperto. Un misto di Bryan Ferri («i miei genitori mi hanno chiamato così in onore del leader dei Roxy Music») e di Pier Paolo Pasolini, che è stato tra i fondatori della società, la Casarsa, dove ha cominciato a giocare a calcio («ho visitato anche la sua casa, che è stata trasformat­a in museo»). Queste sono le radici di Bryan Cristante: segni particolar­i campione d’Europa, attuale profession­e soldato agli ordini del generale José Mourinho. Il centrocamp­ista della Roma, che domani è atteso da una nuova prova da leader contro il Betis Siviglia, in quella che potrebbe essere la partita decisiva nel girone di Europa League, si è raccontato per “Sportweek”, il nostro magazine in uscita sabato, mentre intorno a noi, al nuovo Adidas Store di Via del Corso, a Roma, fervevano le fibrillazi­oni da primi giorni.

Canada e azzurro Una cosa è certa: tutti gli addetti ai lavori con cui abbiamo parlato nel mondo del calcio, per Cristante adoperano due parole chiave: intelligen­za e leadership. Quanto basta per non stupirsi del fatto che, avendo il doppio passaporto, anche il Canada lo avesse cercato per la nazionale. «Mio padre è nato lì – racconta - e sono stato cercato più volte dall’allenatore prima della convocazio­ne con l’Italia. Avevo venti anni, ma non ci avevo mai pensato seriamente, anche perché i livelli erano molto diversi, soprattutt­o anni fa. Ma io sono italiano, non ho mai avuto dubbi. Sono stato in Canada solo una volta, mentre a Toronto sono rimasti i fratelli di mio nonno. I miei nonni invece ci hanno vissuto per lavoro, ma poi sono tornati in Italia. A quei tempi molti friulani partivano per il Canada». Invece Bryan è diventato azzurro, ha vinto un campionato europeo, sogna il Mondiale per suturare una ferita ancora aperta(«prima di smettere voglio giocarlo») e adesso ha come compito quello di riportare la Roma nell’Europa che conta. Tutto questo anche grazie alle radici, cioè i campioni con cui ha potuto giocare quando era ragazzo. «Studiavo i centrocamp­isti e il mio idolo era Lampard. Ho avuto la fortuna di esordire in un Milan dove c’erano veramente tanti campioni, tutti più o meno dai trenta anni in su. Ho imparato tanto da loro, ho capito cosa fosse davvero un profession­ista lavorando insieme a loro tutti i giorni, durante le partite e gli allenament­i». Non è un caso che, quando gli si chiede di scegliere un paio di giocatori n Sudamerica nel mondo del calcio c’è sovrabbond­anza di soprannomi ed etichette, però Manuel Pellegrini «Ingeniero» lo è davvero. «Mi sono laureato nel 1976, a 23 anni – racconta il 69enne tecnico cileno –. È stata dura e penso che oggi non sarebbe possibile. Io al liceo ero un alunno modello, studiavo sul serio, all’università le mie prestazion­i sono calate parecchio. E mi allenavo solo due ore la mattina, partite e viaggi erano meno di oggi. Penso che ora per un calciatore laurearsi in ingegneria sia impossibil­e. Forse qualcosa di mirato, specifico, ma un corso di laurea impegnativ­o no».

I● È un Bryan Cristante a tutto tondo quello che si è raccontato per Sportweek. Dalla famiglia alle sue origini, dai primi passi mossi in Friuli fino all’esordio nel Milan di Ibrahimovi­c. Il centrocamp­ista gialloross­o racconta le soddisfazi­oni che ha avuto in carriera e i momenti meno semplici. Con un minimo comun denominato­re: il desiderio di continuare a vincere con l’Italia e la Roma.

▶Analizziam­o

le sue radici italiane. «E romane! Mio nonno è arrivato in Cile quando aveva 5 anni, e sua madre era di Roma. Ma non penso di essere parente del capitano della Roma perché mi dicono che i Pellegrini a Roma siano parecchi... I Ripamonti, i nonni materni, invece venivano dal Nord. Parlo italiano e mi sento italiano, sono venuto a fare il corso per allenatori a Coverciano nel 1985 con Fino Fini, ho viaggiato per l’Italia in lungo e in largo, Roma compresa: una città incredibil­e che non finisce mai di stupire chi la visita. Ci puoi andare trenta volte, troverai sempre qualcosa che non hai visto...».

Però ha allenato ovunque, Cina compresa, e non nella nostra Serie A. da avere al fianco per una immaginari­a partita, fra quelli che ha conosciuto peschi in rossonero. «Ho avuto la fortuna di poter giocare con Nesta. Dava molta sicurezza, sia come persona che come giocatore. Per l’attacco, invece, sceglierei Kakà». Sull’avversario da evitare non abbonda di fantasia, ma lo comprendia­mo benissimo. «Ce ne sarebbero tanti, ma anche se è scontato dico Messi. Quando trovi un come lui davanti è davvero difficile».

Azzurro Italia «La ferita del Mondiale è ancora aperta. Prima di smettere voglio giocarne uno»

Obiettivo Champions Per fortuna, in Europa League avversari del genere non ce ne sono, e neppure in campionato. Per questo, avendo ormai già virtualmen­te rinnovato il contratto con la Roma, a pelle sente che in gialloross­o la Conference League non sarà l’unico trofeo che inserirà nel suo palmares. «L’obiettivo è questo – spiega -. Qualcosa è cambiato con Mourinho e i Friedkin. Si percepisce una voglia diversa: più concretezz­a. L’allenatore ha portato la sua voglia di vincere, sa come farlo e ce lo sta trasmetten­do». Ma se per il suo traguardo più importante dovrà attendere

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