La Gazzetta dello Sport - Romana

ZHANG TIFA DA NANCHINO PER AVVICINARS­I AI MORATTI

Steven, al lavoro per rifinanzia­re il prestito, vedrà la gara nella notte cinese Cerca il 6° trofeo, uno in meno del grande Angelo...

- Di Filippo Conticello

Quando oggi l’arbitro Marchetti fischierà a Riad, a Nanchino saranno le tre della mattina: niente di strano per il presidente costretto all’insonnia da mesi. Steven Zhang è abituato a seguire la sua Inter a distanza, con l’inconvenie­nte di un fuso sempre nemico, ma questa partita è diversa dalle ultime. Qui c’è di mezzo una nuova coppa da sbaciucchi­are, tra l’altro in un momento di gran fermento per il futuro della società: mentre lavora al rifinanzia­mento del prestito, Steven insegue il suo sesto trofeo da quando siede sulla poltrona più alta del club, ottobre 2018. Sarebbe un modo per incidere ancora di più il nome nella storia del club: con la Coppa Italia della passata stagione, Zhang ha già staccato per numero di successi totali i predecesso­ri Pellegrini e Fraizzoli, adesso si avvicinere­bbe a una sola coppa da Moratti padre, Angelo, che negli anni Sessanta mise in fila sette trofei (ben più prestigios­i, però). Ma, visto l’andamento della stagione, perché non pensare almeno di raggiunger­lo a maggio? Nella classifica presidenzi­ale Moratti figlio, Massimo, è invece inarrivabi­le con 16 titoli, compresi i 5 ufficialme­nte sotto la gestione Facchetti. Zhang jr vuole continuare a vincere anche nel domani, ma intanto deve pensare all’oggi, tra Arabia, Milano, Cina e pure Stati Uniti, dove ha sede Oaktree: il 20 maggio scade il termine per la restituzio­ne di oltre 350 milioni (275 più gli interessi) prestati dal fondo americano. Ma già nelle prossime settimane si capirà se l’operazione rifinanzia­mento del prestito, su cui Steven sta andato avanti con decisione, arriverà a buon fine.

Il ritorno In attesa di finalizzar­e la pratica, Steven vuole però una nuova aggiunta in bacheca. Non a caso, è in contatto con dirigenti, allenatore e qualche giocatore, su tutti Lautaro. Si è informato della logistica a Riad e della comodità della sistemazio­ne: nello stesso albergo dove è ora Inter, c’era anche lui l’anno passato, quando strappò la Supercoppa al Milan. Stavolta servirà prima passare da una semifinale contro la squadra del collega Lotito, a differenza sua embedded con la Lazio in Arabia. Non c’è poi una data certa per il ritorno di Zhang a Milano: il 4 febbraio a San Siro arriva la Juve e poi il 20 tocca all’Atletico, normale fare un (doppio) pensiero da Nanchino. s TEMPO DI LETTURA 2’12”

COPPA ITALIA

SUPERCOPPA ITALIANA

giocato per due anni per poi tornare nel suo Estudiante­s, con cui ha chiuso la carriera nel 2017. Adesso è il vicepresid­ente dello stesso club. In bacheca ha, tra gli altri, due scudetti (Lazio e Inter) una Premier League (United), due campionati argentini e una Libertador­es (Estudiante­s), una Coppa Uefa (Parma), una Supercoppa europea (Lazio).

Una vita da regista

In alto Juan Sebastian Veron, oggi 48enne, con la maglia dell’Inter, con cui ha giocato dal 2004 al 2006, e con quella della Lazio, con cui ha giocato dal 1999 al 2001. Qui a sinistra (1) l’argentino festeggia lo scudetto 2000 con il tecnico di quella Lazio, Sven Goran Eriksson, e sotto con Simone Inzaghi (2), allenatore dell’Inter e suo ex compagno a Roma

ma pure la Champions: vogliono tutti tornare in una finale e stavolta vincerla. Il bel calcio di Inzaghi ha tutto per riuscirci».

▶ Da centrocamp­ista, pensa che l’Inter abbia davvero una delle migliori mediane d’Europa?

«Su questo non ci sono dubbi: Barella, Calhanoglu e Mkhitaryan si trovano a meraviglia. Si incastrano, si completano l’uno con l’altro. Quando dei giocatori hanno un rendimento collettivo tanto alto, è perché sono felici di passarsi la palla. Con quei tre gira tutto, la squadra respira. È un centrocamp­o all’altezza della storia dell’Inter e delle grandi di Champions».

▶ Lautaro è già a 20 gol: di questo passo dove arriverà mai?

«Di certo, non si ferma qui. Poi quest’anno è ancora più decisivo e completo. Ma non sono stupito, ha dentro qualcosa di diverso, di speciale: per lui si può usare la parola “fuoriclass­e”. E poi è stato bravo a prendersi il giusto tempo per crescere. Da argentino, sono orgoglioso: ispira i nostri talenti più giovani, apre loro la porta per il futuro».

▶ Che sensazioni le lascia la Lazio di Sarri?

«C’è un grande tecnico, uno che sa sempre dare identità. La squadra è buona, a tratti perfino ottima, ma... manca sempre qualcosa. Se l’Inter è riuscita a fare il salto, la Lazio no: quando servirebbe uno spunto in più, perde un po’ di continuità. Dico questo a prescinder­e dalla Supercoppa, che la Lazio può vincere, e nonostante abbia ottimi giocatori, da Luis Alberto a Immobile».

▶ L’obiettivo principale di Sarri, però, è tornare in Champions.

«Significhe­rebbe dare dare stabilità e prestigio. Riuscirci è decisivo per tutto l’ambiente: la Lazio può farcela sicurament­e, ma non vanno sottovalut­ate né l’Atalanta, sempre pericolosa, né il Napoli, che ha comunque ancora lo scudetto sul petto».

▶ Per chiudere, si sente di dire qualcosa al suo vecchio maestro Eriksson?

Gli sarò grato per sempre. Mi ha insegnato a non mollare e so che non lo farà...

«Il mio messaggio a mister Sven è già arrivato... Mi ha insegnato a non mollare, so che non lo farà neanche lui. Mi ha accolto da ragazzino con un abbraccio e oggi sono io ad abbracciar­e lui. Eriksson sapeva che ai giovani a volte non serve altro che la giusta fiducia e una parola da padre: gli sarò sempre grato di averla detta a me al momento giusto».

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«I centrocamp­isti di Simone sono felici di passarsi la palla... E che orgoglio, Lautaro»

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