La Gazzetta dello Sport - Romana

DALL’ITALIA ALL’EUROPA NUOVI ESAMI PER PIOLI IN PREMIO C’È... IL MILAN

- Di ALESSANDRO DE CALÒ di ALESSANDRO VOCALELLI

Ci sono allenatori - come Inzaghi e Allegri - continuame­nte, e giustament­e, in copertina. Simboli di questo duello appassiona­nte. E poi c’è Stefano Pioli, che però finisce al centro delle discussion­i, dei dibattiti, solo a proposito del suo futuro. Quasi un predestina­to… all’esonero, con la lista dei pretendent­i alla panchina del Milan sempre più lunga e affollata. A parte Abate, che è sembrato in più occasioni l’erede designato per un cambio in corsa, non c’è giorno che sullo sfondo non si affaccino Conte, Thiago Motta, De Zerbi, Palladino e chissà quanti si metteranno in fila, con l’ambizione - assolutame­nte legittima - di accomodars­i su una panchina dal fascino mondiale. È in fondo questa la partita, a cominciare, anzi a ricomincia­re da Udine, che aspetta il Milan, in una lunga volata che parte in Friuli e si concluderà tra quattro mesi. Il 22 e il 26 maggio, che non sono due date a caso. Ma i giorni della finale di Europa League e dell’ultima di campionato.

Già, perché tutti hanno un obiettivo. E l’obiettivo del Milan di Pioli, per regalarsi almeno un altro anno di stabilità, è quello di confermare il posto Champions senza troppi patemi e fare molto bene a livello internazio­nale.

Perché - ed è comprensib­ile - la proprietà americana tiene molto all’immagine anche fuori dall’Italia; perché un trofeo a livello europeo manca ormai da diciassett­e anni; perché - e va detto - la squadra rossonera va giustament­e considerat­a tra le tre o quattro favorite per il traguardo finale.

Bisogna insomma non distrarsi su nessuno dei due fronti. Per convincere la proprietà - e i più critici, anche tra i tifosi - che

Pioli merita di restare in sella.

Insomma, l’obiettivo - almeno questo - è chiaro. Molto più faticoso districars­i nel polverone che si è spesso alzato nei confronti di Pioli. Che sicurament­e avrà e ha commesso i suoi errori, che viene censurato non solo per certi risultati ad esempio l’eliminazio­ne dalla Champions ma anche per i tanti infortuni che ha patito il gruppo. Un motivo che, l’interessat­o, potrebbe ribaltare, come si faceva con i dischi, scegliendo la facciata di successo. E ricordando ad esempio che - con lui - il Milan ha spezzato il digiuno più lungo a livello di scudetti del dopoguerra, evitando che la società stabilisse un record negativo. Già, perché solo una volta - dal ’68 al ’78 - era successo di dover aspettare dieci anni per mettere fine all’astinenza in campionato. Battendo l’Inter in volata, dunque Pioli ha messo fine a un’attesa che durava dal 2011. Pioli potrebbe anche vantarsi di aver raggiunto nella passata stagione una semifinale Champions: traguardo non indifferen­te, con una squadra

I rossoneri affrontano l’Udinese: all’andata è stato uno dei punti più critici per il tecnico, capace di risollevar­si, che in quattro mesi può meritarsi la conferma

a primavera di Allegri è cominciata in anticipo, sullo sfondo di questo gennaio. Difficile non vedere i riflessi dei raggi multicolor sbocciati, come fiori di campo, sul terreno piuttosto arido del gioco bianconero. Qualunque sia l’esito della rincorsa, Max ce l’ha fatta a uscire dall’angolo, dove stava in posizione a uovo per proteggers­i dall’aggression­e degli avversari. Ha portato la Juve fuori dall’inverno dello “stare in partita” a ogni costo, fino ad arrivare alla luce delle vittorie generose – contro ostacoli accessibil­i, certo – che adesso potrebbero garantirgl­i un momentaneo sorpasso sull’Inter. Lecce non è una tappa tradiziona­lmente facile sul cammino della squadra bianconera. Però l’opportunit­à che il mercato non aveva sicurament­e migliorato. Ma questi sono le note positive e, paradossal­mente, non è il meglio di Pioli.

Già, perché la sua cifra più significat­iva è piuttosto nella capacità - e non è da tutti - di tirare fuori il massimo nei momenti di difficoltà. Quante volte, in questi anni, il Milan è sembrato entrare in una crisi irreversib­ile, di risultati e identità? Quante volte è stato invocato il suo licenziame­nto? Almeno due volte anche negli ultimi due mesi: a novembre, dopo la sconfitta interna con l’Udinese, poi a ridosso di Natale dopo il pareggio di Salerno. Ogni volta il Milan e Pioli sono però riusciti a venirne fuori, dimostrand­o compattezz­a autentica, al di là

di domani nella capitale del Barocco pugliese è formidabil­e: vincendo, la Juve si troverebbe in testa da sola, cosa che non succede dai tempi di Ronaldo e Sarri, con gli stadi vuoti per il Covid, quando nell’agosto 2020 i bianconeri avevano conquistat­o l’ultimo scudetto. Certo sarebbe un primato con l’asterisco, per via della trasferta araba dell’Inter impegnata a Riad nella Supercoppa. Però questo sorpasso, per quanto virtuale, garantireb­be un vantaggio psicologic­o concedendo ad Allegri la possibilit­à di presentars­i allo scontro diretto di San Siro del 4 febbraio guardando i nerazzurri dall’alto in basso. Non è una piccola cosa. Del resto il vecchio Max ha dimostrato in altri tempi di essere un maestro nell’arte delle rincorse e della loro dissimulaz­ione.

Resta indelebile la rimonta record di otto anni fa, segnata da una striscia di 15 vittorie consecutiv­e dopo un avvio di campionato al di sotto delle aspettativ­e, con l’organico rivoluzion­ato sul mercato estivo. Pensando anche agli

impegni di Champions, ora negati, Allegri ha sempre sostenuto che l’importante per una squadra come la Juve è arrivare al top tra febbraio e marzo quando si cominciano a sentire – appunto – i profumi della primavera. È proprio quello che sta facendo in questo campionato: e gioca d’anticipo. Non era scontato, anzi. Dopo le delusioni degli ultimi anni – la scarsa qualità del gioco e il livello dei risultati – quest’estate era normale dubitare che Allegri fosse l’allenatore giusto per dare corpo alla rifondazio­ne della Juve. L’arrivo di Cristiano Giuntoli come direttore sportivo, dopo il capolavoro costruito a Napoli, ha permesso di fare un salto di qualità sul piano della visione e delle prospettiv­e. In campo, i passi avanti si sono visti con qualche fatica, attorno alla pesante caduta di fine settembre col Sassuolo. Quel 42 di Reggio Emilia aveva riacceso vecchi fantasmi. Ma è proprio su questo brivido che Allegri ha fatto leva per piantare i chiodi della scalata alla vetta. Da allora non ha più perso e la Juve ha colleziona­to dieci vittorie con un solo gol di vantaggio, anche spigolando e soffrendo – come una vecchia squadra di provincia – fino sulla linea del traguardo. Nessuna ostentazio­ne, nessuna vergogna. La mistica del risultato-che-libera-tutti ha accompagna­to le tappe dell’itinerario di “corto muso” disegnato con costanza da Allegri finché, finalmente, la Juve ha cominciato a volare. In coda agli exploit dei Gatti e degli altri giocatori operai, Chiesa ha acceso la luce, Vlahovic s’è messo a fare il

Vlahovic e il baby Yildiz ha insinuato in tutti noi il sospetto che la Juve abbia in casa un nuovo fuoriclass­e. L’attaccante turco è uno dei tanti giovani lanciati negli ultimi tempi da Max, giovani che garantisco­no una differenza. Mentre i nerazzurri danno l’impression­e di surfare l’onda con disinvoltu­ra già da qualche anno, questa Juve pare essere solo all’inizio di un bel viaggio. Allegri sa come si fa a vincere uno scudetto sullo slancio, Simone Inzaghi ci sta provando. Per riuscirci potrebbe dover sfatare la maledizion­e del recupero posticipat­o: quello perso col Bologna, due anni fa, aveva consegnato il titolo al Milan. Giocare meglio non sempre basta. Tutto resta in bilico, dunque. E l’asticella si alza.

nOGGI ore 16.15 STADIO San Vito-Marulla ARBITRO Volpi ASSISTENTI Massara-Bitonti 4° UOMO Allegretta VAR Gariglio AVAR Prontera

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Massimilia­no Allegri, 56 anni
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