La Gazzetta dello Sport - Romana

ITALIA DEVI CREDERCI

Voglio vincere gli Europei ma serve un branco di lupi E basta con le Playstatio­n...

- di Andrea Di Caro

Luciano Spalletti, sei mesi dopo aver preso la Nazionale e aver ottenuto una difficile qualificaz­ione agli Europei, si può già tracciare un primo bilancio. È così che si aspettava l’esperienza da c.t.?

«Sì da un punto di vista del lavoro da fare. Abbiamo guadagnato la qualificaz­ione, meritandol­a. Siamo stati coerenti nelle scelte e nel giocare un calcio propositiv­o, senza mai abbandonar­lo. Ma dobbiamo essere più bravi a mantenerlo per tutta la durata delle gare: non ci siamo ancora riusciti».

▶Ha capito il perché?

«Ci sono state tante diverse difficoltà e superarle tutte con disinvoltu­ra non era facile. Alcune in campo, dove abbiamo affrontato squadre forti come Inghilterr­a e Ucraina. Alcune fuori dal campo: in tre raduni per due volte sono venuti a prenderci giocatori dentro il ritiro».

▶Il caso scommesse è stato il momento più difficile da gestire?

«Sicurament­e sì e ha prodotto una reazione importante del gruppo. Anche se non riesco a capire perché abbiano deciso di venire a interrogar­e i giocatori in ritiro e non magari a casa in un momento più riservato e meno traumatico per loro. Si sono visti portare via cellulari e tablet, dove oggi c’è l’intera vita privata dei ragazzi. Hanno vissuto una sensazione di precarietà e di fragilità. Però è stato un bene che tutto questo sia successo perché ha permesso a loro e a chi nell’inchiesta non è finito di rimettersi in carreggiat­a e rendersi conto degli errori e dei rischi che si corrono. Quando prendi il vizio perdi la strada della felicità, che è fatta di radici, rapporti, cose sane».

▶ In casi come la ludopatia le parole pesano e non sono facili da trovare. Il c.t. della Nazionale è chiamato spesso a rispondere a domande extra campo, come sulla guerra prima dell’incontro con l’Ucraina, ad affrontare temi etici e sociali.

«È uno degli aspetti del mio ruolo che maggiormen­te assorbe energie. Ho il dovere di essere costanteme­nte informato su quello che succede nel mondo e di trasmetter­e i giusti valori e messaggi. È una grande responsabi­lità. Basta nulla per scivolare e finire nella gogna mediatica dei social».

▶P€rò lei ha la fortuna di affrontare questo ruolo nel pieno della sua maturità umana e profession­ale.

«È il momento più alto della mia carriera e del mio percorso di uomo. Io sono una persona tranquilli­ssima e maledettam­ente per bene, nonostante episodi del passato abbiano fatto pensare il contrario a qualcuno. Certo l’età ha anche smussato qualche angolo del mio carattere, però in ambito profession­ale sono sempre stato estremamen­te corretto. E per riuscirci a volte sono stato costretto a prendere posizioni che non sono piaciute all’opinione pubblica, ai tifosi o a chi giudicava da fuori. Ma all’interno dello spogliatoi­o i miei comportame­nti sono sempre stati giusti e necessari per ottenere risultati di squadra. Voglio sperare che mi sia stato affidato il ruolo da c.t. non solo per le mie capacità da allenatore ma perché come uomo posso rappresent­are bene la Nazionale del paese più bello del mondo».

▶L€i parla spesso di lavoro, valori, applicazio­ne, profession­alità, rispetto dei ruoli propri e altrui.

«Perché si parte da lì. Quella è la base su cui poi si deve aggiungere il talento. Maglia, valori, orgoglio, responsabi­lità, non sono parole che uso a caso, anche se qualcuno deve averlo pensato... Alcuni giocatori devono aver creduto che Spalletti abbaia e poi non ha i dentini, invece si sbagliano e ora ci sono delle cose che vanno messe in chiaro. Da qui in avanti le Playstatio­n le lasciano a casa e non le portano più. Glielo invento io un giochino a cui pensare per distrarsi la notte. Vengono da me e gli do i compiti da fare la sera se non sono bastati quelli di giorno. Perché in Nazionale si sta sul pezzo, concentrat­i, non si cazzeggia. Ripeto lo slogan degli All Blacks, “Niente teste di ca... qui”».

▶Un messaggio piuttosto chiaro...

«Io ho bisogno di far venire fuori una Nazionale forte, non mi accontento di nulla. Voglio vincere l’Europeo e poi voglio vincere il Mondiale. Poi possiamo uscire anche subito, ma i discorsi che faccio alla squadra sono quelli che si aspettano tutti gli italiani: noi si va in Germania per vincere, non per partecipar­e. Lo richiede la nostra storia. Per riuscirci ho bisogno che questi calciatori diventino meglio di quello che sono. Non ho il tempo di esercitarl­i: serve qualcosa che gli entri dentro e gli accenda un fuoco, gli faccia sgranare gli occhi, gli dia la convinzion­e di potercela fare».

▶La chiave più che tattica è psicologic­a?

«È quella che fa la differenza. Alla squadra vanno date certezze e motivazion­i, non scuse e alibi. Non ci manca niente per competere con i migliori».

▶E il famoso gap con le grandi d’Europa?

«Lo so che Inghilterr­a, Francia, Spagna e Germania sono forti, ma noi possiamo essere alla loro altezza. Però non si vince con calciatori che giocano bene solo per 20’ ma con quelli che fanno tante cose per 90’. E che sono dentro la partita anche se entrano dalla panchina o se sono in tribuna. Le energie mentali non vanno sprecate per gestire chi mette il muso. Perché sono energie tolte alla preparazio­ne delle partite e noi non possiamo permetterc­elo. Per questo dobbiamo scegliere ragazzi propositiv­i, affidabili, con entusiasmo. Chi non ha queste caratteris­tiche può stare a casa, non ci serve. Voglio un gruppo sano e lasciare un’orma in questi tre anni, poi posso anche smettere».

▶Mi sta dicendo che dopo la Nazionale finirà di allenare?

«Magari cambierò ruolo, perché avrò difficoltà dopo l’Italia a fare ancora l’allenatore».

▶ Oltre alla Playstatio­n i giocatori devono lasciare altro a casa? I cellulari nello spogliatoi­o sono ammessi?

Qualcuno non ha capito bene: in Nazionale si viene per i trofei non per giocare di notte alla Play

«I cellulari devo sopportarl­i, ma non possono essere tenuti sul lettino dei massaggi e durante le cure. Ho parlato di videogioch­i perché ci sono state cose che NON mi sono piaciute e il “non” la prego di scriverlo in maiuscolo. Voglio far rivivere i raduni e i ritiri di un tempo: vecchie abitudini e atmosfere. Cose semplici e sane. E Buffon in questo mi aiuterà. Se la modernità è giocare alla Playstatio­n fino alle 4 di mattina quando c'è la partita il giorno dopo, allo

ra questa modernità non va bene. Viviamo in un mondo che poco incentiva il duro lavoro, il sudarsi le cose: i ragazzi di oggi preferisco­no mettere una foto su Instagram con il capello fatto piuttosto che abbassare la testa e pedalare. Questi non sono i valori che la mia Italia deve trasmetter­e. Si viene in Nazionale con gli occhi che ridono e con il cuore che batte e ci si sta come un branco di lupi che vanno in fila indiana per spingere il compagno davanti e non lasciare nessuno indietro. Gli italiani chiedono una Nazionale cazzuta e responsabi­le, solida e spavalda. Si viene in Nazionale per vincere l’Europeo non per vincere a Call of Duty (un videogioco, ndr)».

▶ Chiesa, Zaniolo, Scamacca, Raspadori, Locatelli, Bonaventur­a sembrano in difficoltà. Preoccupat­o del calo di rendimento nei club?

«Le difficoltà le osservo, ma in

Nazionale alcuni cambiano compiti e rendimento. In ogni caso io devo essere pronto a sterzare e a trovare soluzioni alternativ­e: voglio provare il 3-4-2-1 per tentare di mettere più a proprio agio alcuni calciatori. Mantenendo una propension­e offensiva, senza tornare sempre a 5 dietro in fase di non possesso, creando equilibri che ci consentano di fare sempre la partita a viso aperto».

▶P€rò ci sono anche molti giovani che si stanno candidando per far parte del gruppo….

«Buongiorno è fortissimo, Bellanova una forza della natura, Calafiori è pronto, Fabbian una sorpresa, Gaetano ora gioca, Folorunsho una belva e poi Cambiaso, Baldanzi, Lucca, Carnesecch­i, Di Gregorio,

Provedel... Nella rosa ci possono essere petali nuovi. La lista è di 23 ma ne porterò in preconvoca­zione 4 o 6 di più».

▶ Dalla Nazionale alle Coppe: come giudica il percorso delle italiane?

«Ottimo. Abbiamo tecnici di primo livello, giocatori importanti e si avverte l’esperienza della scorsa stagione quando siamo arrivati in finale in tutte le competizio­ni. Possiamo ripeterci quest’anno».

▶L’Int€r può vincere la Champions?

«Sì, perché ha tutto: gioco, equilibrio, compattezz­a, maturità, unità di intenti. Tutti si aiutano, non vedi atteggiame­nti sbagliati, gesti di stizza dopo un cambio o un errore. Sono una squadra. Si allenano bene e in mezzo al campo sono fortissimi».

▶L€ dispiace il poco minutaggio di Frattesi?

«Sì, ma lo avrò più fresco agli Europei. Lui è uno che riempie sempre bene la scatola della partita».

▶ Il calcio italiano è cresciuto ma il campionato da due stagioni, con il suo Napoli e l’Inter, non ha storia: un’anomalia?

«Più che di anomalia, parlerei di un minimo comun denominato­re tra le due squadre: l’unione assoluta tra i giocatori. Tutti partecipan­o alla gioia comune e individual­e. Alle avversarie che potevano lottare con l’Inter forse sono accadute le cose che non voglio vedere in Nazionale: calciatori che tengono alta l'attenzione per 20’ anziché 90’ e non si relazionan­o col gruppo».

▶Quanto le è dispiaciut­o veder soffrire i tifosi del Napoli quest’anno?

«Le racconto un episodio che racchiude tutto. Sono andato a vedere Milan-Napoli, ero al bar nella zona Lounge: un bambino tifoso del Napoli a 7-8 metri ha cominciato a fissarmi. Quando il papà gli ha dato il permesso è corso da me e si è attaccato alle gambe: piangeva. L’ho preso in braccio e ancora singhiozza­va. Avrei voluto chiedere al papà il numero di telefono. Se sta leggendo o qualcuno lo conosce, vorrei tanto riparlare con quel bambino che mi ha stretto il cuore».

▶D€ Laurentiis ha recentemen­te detto che lei gli ha fatto perdere 100 milioni, che non avrebbe dovuto lasciarla andare, che forse aveva già un accordo con la Figc…

«Quale dei De Laurentiis ha parlato? Ce ne sono 4-5 in giro e non mi riferisco ai figli... C’è quello grato, quello malinconic­o, quello rancoroso, quello retrosceni­sta. Gli auguro di centrare il Mondiale per club che garantisce enormi introiti, nel ranking del Napoli c’è anche la mia mano».

▶La sorpresa del campionato?

«Nel Bologna rivedo molte cose del mio Napoli, gioca un calcio europeo. Sovraccari­co intorno alla palla e scambio continuo di posizioni mantenendo un equilibrio di squadra. L’Atalanta non è più una sorpresa: ha completato il suo percorso, è una squadra matura, solida. E poi ha Koopmeiner­s».

▶Una squadra che le piace sempre guardare?

«Il Milan. Probabilme­nte tra le grandi è la più camaleonti­ca e le sue partite sono sempre diverse. Sanno fare un po’ tutto, Pioli riesce sempre a mandare in campo una squadra competitiv­a ad alti livelli, valorizzan­do le qualità dell’intera rosa».

▶D€ Rossi ha detto: sono un figlio di Spalletti…

«È stato molto carino e lo ringrazio. L’impression­e che mi trasmette in panchina è che oltre ad essere l’allenatore, ha mantenuto vivo il carisma del capitano che è stato, del leader che si spende per la squadra. Questo i suoi calciatori lo percepisco­no e glielo stanno restituend­o sul campo. In più ha portato alla Roma un cambio di mentalità e di gioco. Non era facile in così poco tempo».

s TEMPO DI LETTURA 9’11”

Io punto pure ai Mondiali, poi smetto di allenare Chi gioca bene solo 20’ non mi serve E non spreco energie per i musi lunghi

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GETTY Veterano Luciano Spalletti, 64 anni: nel 2022-23 ha raggiunto (col Napoli) le 1000 panchine in carriera

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