La Gazzetta dello Sport - Romana
«Sì, dalla provincia si può: il mio Parma vinse nel 1999 E hanno Gasp, un maestro»
Mi auguro che la Dea metta sempre in campo il coraggio di Anfield
Si può arrivare dalla provincia alla vetta d’Europa? E, soprattutto, come si fa? L’Atalanta di Gasperini, dopo l’impresa di Liverpool, ha messo nel mirino l’Europa League: l’ultimo allenatore italiano a sollevare il trofeo (allora si chiamava Coppa Uefa) è stato Alberto Malesani che, nel maggio del 1999, alla guida del Parma, un’altra espressione della provincia, ha sconfitto il Marsiglia nella finale di Mosca. E oggi Malesani, che da dieci anni non allena più e, dopo un’esperienza come imprenditore nel settore del vino, si rilassa giocando a golf, fa un tifo indiavolato per la Dea «perché la squadra di Gasperini mi ricorda tantissimo il mio Parma».
▶Qual è il segreto per arrivare al successo partendo dalla provincia?
«Servono una grande società e un grande lavoro di squadra. Dirigenti, allenatore e giocatori devono ragionare seguendo la medesima linea di pensiero. Il mio Parma, nel 1999, vinse tre coppe in cento giorni: la Coppa Italia, la Coppa Uefa e la Supercoppa Italiana».
▶L’Atalanta è attrezzata per l’impresa?
«E’ superattrezzata. Gasperini è un tecnico che ha sempre dato il massimo in provincia perché il suo gioco richiede sacrificio, grinta e grande preparazione fisica. Lui vuole un gruppo aggressivo, punta moltissimo sull’uno-contro-uno. Ci si stanca a giocare in quel modo, e magari qualche giocatore che si crede un campione non è disposto a faticare tanto. A Liverpool l’Atalanta ha realizzato un capolavoro di cui si parlerà per almeno un decennio».
▶Dei suoi trionfi che cosa ricorda?
«Tutto, ogni minimo particolare. E mi fa piacere che a distanza di tanti anni si torni a parlare di ciò che ha fatto il mio Parma. In Europa la qualità del gioco è diversa rispetto a quella del campionato. In campionato puoi sbagliare e c’è il tempo per rimediare. Nelle coppe, no: devi essere perfetto in quelle due partite. Quel Parma sembrava programmato al computer, tutti sapevano quello che dovevano fare. C’erano grandissimi giocatori, questo va sempre ricordato, perché senza grandi giocatori nessun allenatore può vincere. Io avevo Buffon, Thuram, Cannavaro, Chiesa, Crespo, Veron...».
▶ La cosa di cui va più orgoglioso?
«Il Parma di quel periodo era al terzo posto del ranking mondiale. Sapete che cosa significa? Incredibile per una squadra di provincia, che aveva sì una multinazionale come la Parmalat alle spalle ma non aveva certo il seguito di pubblico dei grandi club».
▶Però lo scudetto non arrivò e lui fu criticato.
«Verissimo, credo che certe critiche siano state ingenerose. Per vincere il campionato, in Italia, è necessario anche avere un ambiente super, che galvanizza i tuoi giocatori e condiziona gli avversari, e magari pure l’arbitro. Questo ci è mancato. Posso raccontarle un aneddoto?».
▶Prego.
«Semifinale di Coppa Uefa, giochiamo al Vicente Calderon di Madrid contro l’Atletico. Settantacinquemila tifosi dei Colchoneros, e una ventina di parmigiani. Pensai: stavolta ci sbranano. Invece i miei ragazzi si fecero trascinare da quell’atmosfera, si caricarono, diedero l’anima e vincemmo 3-1. Partita perfetta. Un po’ come è accaduto all’Atalanta a Liverpool».
▶ Una vittoria in provincia vale di più o di meno di una vittoria in un grande club?
«Secondo me, vale di più. Partendo dalla provincia è più difficile arrivare alla vetta, inutile negarlo. E poi, se avessimo ottenuto quelle vittorie in una metropoli sarebbe venuto giù il mondo... A Parma, invece, l’equilibrio è sempre stato, e sempre sarà, un modo di vivere, uno stile. Ci si esalta, ma senza esagerazioni».
▶Un consiglio all’Atalanta per il rush finale?
«Mi auguro che mettano sempre in campo il coraggio e la determinazione che ho ammirato ad Anfield. Queste due qualità fanno la differenza. Al resto penserà Gasperini, che è un vero maestro e lo sta dimostrando con i fatti: è ai vertici del calcio italiano da tanti anni».