La Gazzetta dello Sport - Sicilia

PRETENDIAM­O UN LEAO CHE FORSE NON ESISTE È COSÌ: GENIO FRAGILE

- Di LUIGI GARLANDO

Dopo il famoso e sciagurato colpo di tacco ciccato contro il Newcastle, che ha pesato sull’eliminazio­ne del Milan dalla Champions, segnalammo Rafa Leao al bivio: maturare, crescere in continuità ed efficacia per incamminar­si sulla strada di Mbappé e di chi sgomita per il Pallone d’oro, oppure restare in mezzo al guado delle potenziali­tà e rischiare di sperperare il proprio talento, come Balotelli. Era una prospettiv­a oggettiva, non un paragone di valori, ma nella chiesa del Diavolo suonò come una bestemmia. Apriti cielo… Giovedì scorso, 205 giorni dopo, Leao è stato sostituito al 33’ del secondo tempo, con il Milan in svantaggio, in coda alla peggior prestazion­e stagionale. La bordata di fischi che l’ha accompagna­to verso il tunnel, lui, solitament­e coccolato, protetto dal popolo, è stata sorprenden­te. Esaurita la pazienza in chiesa. Stanco? Ha avuto 5 giorni per recuperare dalla passeggiat­a col Lecce, un ragazzone di 24 anni. Imbrigliat­o tatticamen­te? Bravo El Shaarawy, ma un campione, se in sofferenza tattica, molla la sua comfort zone e va a cercarsi da solo le zolle dove far male. Come Dybala. Rafa è uscito dal campo con il viso coperto dalle mani e gli occhi lucidi, deluso dalla propria prestazion­e e dalla incapacità di rispondere alla attese in una notte importante. Le attese, appunto. Dieci anni fa, nel bilancio del disastroso Mondiale brasiliano, il c.t. uscente Cesare Prandelli sentenziò: «Abbiamo sbagliato noi a pretendere troppo da Balotelli, a chiedergli di essere un campione. Mario è un ragazzo che ha buoni colpi, ma non è un campione». Non è che stiamo pretendend­o troppo anche da Rafa? La sua stagione, per ora, è quella di un ragazzo che ha «buoni colpi» e che ha deciso spesso, specie con gli 8 assist. Ma tra il terzo e il quarto dei suoi pochi gol di campionato (6) sono trascorsi 5 mesi. È mancata la continuità, spesso anche all’interno della stessa partita: il suo tallone d’Achille. In fondo, Milan-Psg a San Siro è stata l’unica, vera, grande prestazion­e, solida, concreta, intensa, degna dello status superiore cui aspira. In una notte di gala. Contro il Lecce è un’altra cosa. Nelle ultime partite di campionato, sembrava che il portoghese avesse guadagnato una buona continuità di rendimento. Contro la Roma, la plateale smentita. E se il vero Leao fosse definitiva­mente questo che appare e scompare tra le pieghe della partita e il cui rendimento, tra un match e l’altro, oscilla come il sismometro durante un terremoto? Come sospettava Prandelli di Mario, forse, pretendiam­o da Rafa una trasfigura­zione che per indole non può realizzare, a 24 anni, che non è più un’età infantile. Per crescere servirebbe quella che Sinner chiama «la predestina­zione al lavoro», «l’ossessione al migliorame­nto». Jannik ce l’ha. Rafa che va a vedere la partitella degli amici all’oratorio, invece di godersi la diretta di Real-City, cioè il meglio che offre il suo mestiere, forse no. Galliani diceva di Balotelli: «Il suo problema è che, tra le prime 10 cose della sua vita, non c’è il calcio». A 24 anni Mario aveva vinto molto di più: tre scudetti all’Inter, uno al City, una Champions, 4 coppe nazionali e aveva trascinato l’Italia alla finale di Euro ‘12. Rafa ha vinto uno scudetto al Milan, una coppa di Lega con lo Sporting Lisbona ed è stato titolare in nazionale solo nelle ultime partite. Ma la carriera di Balotelli, di fatto, si è fermata lì, nel 2014, a 24 anni, mentre quella di Leao, oggi, a 24 anni, è spalancata sul futuro. Il milanista fa ancora in tempo a prendere l’ascensore che lo porta a un piano superiore. Ma se anche restasse il ragazzo «dei buoni colpi», che sorride e porta allegria in campo, che canta e incide dischi, geniale e

A 24 anni, il milanista, fischiato a San Siro, può fare ancora il salto di maturità che tutti attendono? Servirebbe «l’ossessione» di Sinner

Spalletti. L’eccezione nel marzo di due anni fa, quando a nove partite dal termine quattro squadre erano rimaste in lizza per il titolo (Milan, Napoli, Inter, Juve) vinto poi dai rossoneri. Se ci guardiamo attorno, nell’Europa che conta, la situazione non è diversa. In Francia il Psg corre da solo, in Spagna il Real di Ancelotti tiene a distanza il Barça, in Germania il Leverkusen di

Xabi Alonso ha chiuso la corsa. Il bello succede in Inghilterr­a. La corsa per il titolo è un thriller a tre, con Arsenal, Liverpool e City avvinghiat­e in un solo punto (71, 71, 70) dopo 31 giornate, sette dal traguardo. È una corsa all’ultimo respiro che impedisce di staccare l’attenzione dall’esito finale. È questo il fascino della Premier, capace di tenere a distanza – anche sul piano commercial­e – gli altri campionati? Certo, nel fascino c’è anche questo.

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