La Gazzetta dello Sport

IL RACCONTO

- di FRANCESCO CENITI

«Beh, eravamo nella mani di Prisco. E sapevamo di essere in buone mani». Parola di Sandro Mazzola, uno dei leader dell’Inter di quegli anni. Mai avrebbe pensato che una qualificaz­ione ai quarti di Coppa dei Campioni sarebbe dipesa dai codici della giustizia sportiva. La trappola fatta di bollicine e tedeschi indiavolat­i era scattata da qualche giorno. Eppure questa storia inizia in modo diverso: la squadra allenata da Invernizzi sorride quando dal sorteggio, come rivale negli ottavi, esce il Borussia. «Avranno pure vinto il campionato tedesco, ma sono inesperti. Vinciamo facile». Insomma, avversario sottovalut­ato. Persino il ritiro prescelto per la trasferta è distante da Mönchengla­dbach: la comitiva italiana dorme a Colonia. Quando prima della gara visita l’impianto, si accorge che quel fortino così attaccato al campo potrebbe diventare una bolgia. Diventa una bolgia. I tedeschi partono forte: Heynckes, futuro allenatore del triplete col Bayern Monaco nel 2013, fa centro dopo 7’. L’Inter reagisce e Boninsegna pareggia su punizione. Passano 120 secondi e al 21’ Le Fèvre sigla il 2-1. Si lotta su ogni pallone, la serata è umida, piove e fa freddino.

MAZZOLA DA AMICI MIEI Prima della mezz’ora Bonimba si avvicina alla linea di fondo per battere una rimessa laterale. Il pubblico è distante pochi

metri. All’improvviso l’attaccante stramazza sul prato. L’arbitro olandese Jef Dorpmans e i giocatori si avvicinano. C’è una lattina nei pressi, passa di mano in mano. Poi «evapora». E allora Mazzola fa qualcosa degna del film Amici miei di Monicelli: una genialata piena di fantasia, intuizione, decisione e velocità d’esecuzione. La ricorda così il numero 10: «L’arbitro non aveva visto sparire la lattina. Stavo cercando di capire dove fosse, quando mi volto e vedo un tifoso italiano che stava bevendo una coca cola a pochi metri da me. Allora corro, me la faccio dare, la svuoto un po’ e la consegno al direttore di gara “Ecco cosa ha colpito il mio compagno”, faccio. Lui la gira e fa ok con la testa». Il più è fatto. Mazzola è convinto che la partita sia finita lì. «Sì, eravamo abituati alle regole italiane ed eravamo sicuri fosse così anche in Europa. E l’arbitro ci rassicurò su questo punto». Lo stadio insulta Boninsegna mentre lascia lo stadio in barella. «Soliti italiani, commediant­i!», urlano dalla panchina del Borussia. Ma il colpo l’attaccante l’aveva preso sul serio? E soprattutt­o: poteva continuare a giocare? Ancora Mazzola: «Beh, dopo tutto questo tempo posso dire che ci abbiamo marciato. C’era l’opportunit­à di vincere a tavolino e l’abbiamo presa. Roberto ha la testa dura, la botta l’aveva subita eccome, ma poteva riprendere la sfida». Ahi, è proprio quello che i tedeschi hanno continuato a ripetere dal 1971. «Un momento - aggiunge Mazzola - quel 7-1 non fu reale: noi ci fermammo, altrimenti non sarebbe mai finita in quel modo. Mi pare che i due match successivi hanno dimostrato chi era più forte». Resta la presunta manfrina per strappare lo 0-2, ma qui Boninsegna non ci sta. Ringhia e lotta come ai bei tempi. Anche contro il suo ex capitano. «Cosa ha detto Sandro? Ho la testa dura e potevo giocare? Balle. Intanto la botta l’ho avuta io, bella forte. Un colpo da ko in piena regola: sono svenuto per diversi secondi. Se la stessa legnata la prendeva Mazzola, stava a terra per due ore... Le cose stanno così: perso i sensi per una decina di secondi, riapro gli occhi quando mi tirano l’acqua gelata. La testa mi gira, il medico è sopra di me. Certo, l’istinto è stato quello di rialzarmi, giocare. Come sempre: non mi buttavo mai, neppure in area: meglio cercare il gol che accontenta­rsi del rigore». Bonimba vuole continuare, quindi. Poi... «Poi il dottore Quarenghi fa: “Roberto, hai un bel bernoccolo. Devi uscire, in queste condizioni non

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy