IL RACCONTO
«Beh, eravamo nella mani di Prisco. E sapevamo di essere in buone mani». Parola di Sandro Mazzola, uno dei leader dell’Inter di quegli anni. Mai avrebbe pensato che una qualificazione ai quarti di Coppa dei Campioni sarebbe dipesa dai codici della giustizia sportiva. La trappola fatta di bollicine e tedeschi indiavolati era scattata da qualche giorno. Eppure questa storia inizia in modo diverso: la squadra allenata da Invernizzi sorride quando dal sorteggio, come rivale negli ottavi, esce il Borussia. «Avranno pure vinto il campionato tedesco, ma sono inesperti. Vinciamo facile». Insomma, avversario sottovalutato. Persino il ritiro prescelto per la trasferta è distante da Mönchengladbach: la comitiva italiana dorme a Colonia. Quando prima della gara visita l’impianto, si accorge che quel fortino così attaccato al campo potrebbe diventare una bolgia. Diventa una bolgia. I tedeschi partono forte: Heynckes, futuro allenatore del triplete col Bayern Monaco nel 2013, fa centro dopo 7’. L’Inter reagisce e Boninsegna pareggia su punizione. Passano 120 secondi e al 21’ Le Fèvre sigla il 2-1. Si lotta su ogni pallone, la serata è umida, piove e fa freddino.
MAZZOLA DA AMICI MIEI Prima della mezz’ora Bonimba si avvicina alla linea di fondo per battere una rimessa laterale. Il pubblico è distante pochi
metri. All’improvviso l’attaccante stramazza sul prato. L’arbitro olandese Jef Dorpmans e i giocatori si avvicinano. C’è una lattina nei pressi, passa di mano in mano. Poi «evapora». E allora Mazzola fa qualcosa degna del film Amici miei di Monicelli: una genialata piena di fantasia, intuizione, decisione e velocità d’esecuzione. La ricorda così il numero 10: «L’arbitro non aveva visto sparire la lattina. Stavo cercando di capire dove fosse, quando mi volto e vedo un tifoso italiano che stava bevendo una coca cola a pochi metri da me. Allora corro, me la faccio dare, la svuoto un po’ e la consegno al direttore di gara “Ecco cosa ha colpito il mio compagno”, faccio. Lui la gira e fa ok con la testa». Il più è fatto. Mazzola è convinto che la partita sia finita lì. «Sì, eravamo abituati alle regole italiane ed eravamo sicuri fosse così anche in Europa. E l’arbitro ci rassicurò su questo punto». Lo stadio insulta Boninsegna mentre lascia lo stadio in barella. «Soliti italiani, commedianti!», urlano dalla panchina del Borussia. Ma il colpo l’attaccante l’aveva preso sul serio? E soprattutto: poteva continuare a giocare? Ancora Mazzola: «Beh, dopo tutto questo tempo posso dire che ci abbiamo marciato. C’era l’opportunità di vincere a tavolino e l’abbiamo presa. Roberto ha la testa dura, la botta l’aveva subita eccome, ma poteva riprendere la sfida». Ahi, è proprio quello che i tedeschi hanno continuato a ripetere dal 1971. «Un momento - aggiunge Mazzola - quel 7-1 non fu reale: noi ci fermammo, altrimenti non sarebbe mai finita in quel modo. Mi pare che i due match successivi hanno dimostrato chi era più forte». Resta la presunta manfrina per strappare lo 0-2, ma qui Boninsegna non ci sta. Ringhia e lotta come ai bei tempi. Anche contro il suo ex capitano. «Cosa ha detto Sandro? Ho la testa dura e potevo giocare? Balle. Intanto la botta l’ho avuta io, bella forte. Un colpo da ko in piena regola: sono svenuto per diversi secondi. Se la stessa legnata la prendeva Mazzola, stava a terra per due ore... Le cose stanno così: perso i sensi per una decina di secondi, riapro gli occhi quando mi tirano l’acqua gelata. La testa mi gira, il medico è sopra di me. Certo, l’istinto è stato quello di rialzarmi, giocare. Come sempre: non mi buttavo mai, neppure in area: meglio cercare il gol che accontentarsi del rigore». Bonimba vuole continuare, quindi. Poi... «Poi il dottore Quarenghi fa: “Roberto, hai un bel bernoccolo. Devi uscire, in queste condizioni non