La Gazzetta dello Sport

La Lazio in lacrime Se la crisi va in analisi

Psicologo: «Disperati per aver perso l’abilità. Allentino le tensioni»

- Stefano Cieri ROMA

Ci sono immagini che sintetizza­no meglio di mille parole una situazione, un momento, una storia. Quella dei giocatori della Lazio in lacrime, al termine del match con la Samp, è una di queste. Una squadra che non sa più cosa fare, a quale santo rivolgersi per uscire da una crisi che va avanti da quasi due mesi. Lacrime che si sommano ad altre lacrime. Quelle versate dagli stessi giocatori della Lazio alla fine della precedente partita di campionato con la Juve. Allora, in realtà, era stato un solo calciatore a non trattenerl­e. Ma non un giocatore qualsiasi, il capitano Lucas Biglia. Dopo la Samp, invece, sono stati almeno tre o quattro biancocele­sti a piangere. E gli altri si sono lasciati cadere a terra per la disperazio­ne.

SITUAZIONE AL LIMITE Reazione normale, si potrebbe pensare, dopo una partita in cui si viene raggiunti al terzo minuto di recupero. Ma fino a un certo punto. Perché di solito la scena di una squadra in lacrime a fine gara è circoscrit­ta alle finali di grandi manifestaz­ioni. Quando una sconfitta vanifica il lavoro di un’intera stagione e a volte di tutta una carriera. Per una sconfitta (come quella della Lazio con la Juve) o per un pari-beffa (come quello con la Samp) pare invece esagerato. Certo, denota un attaccamen­to al proprio club che è una risposta emblematic­a a chi considera i giocatori profession­isti senz'anima. Ma è anche la spia di una situazione di tensione arrivata al limite. «Quelle dei giocatori della Lazio sembrano lacrime di disperazio­ne più che di rabbia - spiega Alberto Cei, psicologo dello sport -. Nascono dalla impossibil­ità di ribaltare una situazione delicata, nel caso della squadra di Pioli di uscire dalla crisi. In termini scientific­i si chiama “capacità persa”. In certo casi, non parliamo chiarament­e della Lazio né in generale di atleti, può diventare anche una patologia. In questo caso i giocatori si rendono conto che non riescono a fare ciò che in precedenza gli riusciva con naturalezz­a. E quelle lacrime finali sintetizza­no la disperazio­ne per tutto ciò». Già, ma come se ne esce? «La tensione, e i giocatori ne avranno sicurament­e tanta, non aiuta a risolvere il problema. Andrebbe allentata. Facile a dirsi, meno a realizzars­i. Anche perché il grosso delle pressioni arriva dall’esterno, da un ambiente che comprensib­ilmente pretende risultati migliori. E a questo non c’è rimedio. Qualcosa, invece, si può fare all’interno del gruppo, ma non è semplice». PIOVE SUL BAGNATO Non è semplice anche perché in questa fase alla Lazio succede di tutto. Il grottesco infortunio di Marchetti è l'ultimo esempio. Lunedì il portiere si è fatto male per esultare al gol di Matri. E la diagnosi, arrivata ieri, non è per niente benevola: stiramento alla coscia tra il primo e il secondo grado. Marchetti dovrà star fermo per circa un mese, rientrerà solo nel 2016. E c’è pure un allarme Gentiletti. Il ginocchio operato un anno fa gli provoca fastidi, serve un consulto. Se il responso dovesse essere negativo l’argentino rischia un lungo stop. Ancora problemi, dunque, per Pioli. La cui posizione è sempre più in bilico. Sarà ancora sulla panchina della Lazio fino a domenica, molto difficile che ci resti anche dopo la sosta natalizia.

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TEDESCHI\IPP La disperazio­ne di Matri e Parolo, Pioli consola Felipe Anderson
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