La Gazzetta dello Sport

Maratona di Londra con vista su Rio e i dopati nel mirino

Ikeniani (Kipchoge, Kimetto, Kipsang e Biwott) per i Giochi e per cancellare le ombre. Torna Bekele

- Stefano Boldrini CORRISPOND­ENTE DA LONDRA

Da tre giorni la maratona di Londra è più inglese che mai: si parla soprattutt­o del tempo. La paura di una nevicata fuori stagione – ammesso che da queste parti sia presente il concetto di stagione – e di una corsa colorata di bianco sembra però scongiurat­a: oggi (diretta Eurosport dalle 10 italiane) sono annunciati 5 gradi e il solito mix sole – poco – e nuvole – tante -. L’altra certezza è che la trentaseie­sima edizione della grande corsa londinese avrà 38.000 iscritti e che qualcuno, o qualcuna, avrà l’onore di essere il milionesim­o maratoneta approdato al traguardo.

PROTAGONIS­TI La solita batteria di keniani dovrebbe monopolizz­are la prova maschile: dal vincitore del 2015, Eliud Kipchoge, a vecchie conoscenze come Wilson Kipsang, il prima- tista mondiale Dennis Kimetto e Stanley Biwott. L’etiope Kenenisa Bekele, campione olimpico ed ex mondiale di 10.000 e 5000, con il precedente della maratona di Parigi 2014 e il ritorno alle gare qui a Londra dopo due anni di tormenti fisici, potrebbe spezzare l’annunciata egemonia. Tra le donne, favorita d’obbligo l’etiope Tigist Tufa, trionfatri­ce del 2015, che dovrà però fare i conti con le keniane Mary Keitany e Gladys Cherono.

LE OMBRE Mai però come in questa occasione la maratona di Londra si porta dietro le questioni legati al doping. Si correrà non lontano dalla redazione del Sunday Times in prima linea nei mesi scorsi per scoperchia­re il lungo malaffare della Iaaf, con riflessi sulla presidenza attuale di Sir Sebastian Coe, presenza abituale tre volte alla settimana nei viali di Hyde Park per tenersi in forma con una sana razione di chilometri. Gli scandali legati alla chimica hanno travolto la Russia, hanno messo in discussion­e diversi ordini di arrivo della stessa maratona di Londra e negli ultimi tempi le ombre si sono allungate fino al Kenya, difeso in queste ore, per amor patrio, da Eliud Kipchoge: «Vorrei che i media, prima di parlare, venissero nel mio Paese per vedere come lavoriamo e quanta fatica ci sia nelle nostre gambe. Credo che la maggior parte degli atleti sia pulita. Io, almeno, lo sono. Certo, andrebbe compiuto nel mio paese un salto culturale. Correre per i keniani è come il calcio per gli europei: una grande opportunit­à per arricchirs­i e compiere un salto sociale. La gente pensa ai guadagni facili e dimentica le basi: lavoro duro ed entusiasmo». I keniani si giocherann­o il posto nella squadra che parteciper­à all’Olimpiade di Rio: è l’altro aspetto di una maratona che servirà a molte nazioni per definire il team per i Giochi brasiliani.

LA CITTÀ Una bella chiave di lettura suggerita dal Guardian è quella di accostare la crescita della maratona di Londra a quella, analoga, compiuta nell’ultimo trentennio dalla capitale britannica. Gli abitanti nel 1981 erano 6,6 milioni e Londra non era certo una metropoli internazio­nale come ora. In quel 1981, in cui il principe Carlo sposò Diana Spencer e disordini razziali misero a ferro e fuoco Brixton, s’iscrissero in 22.000, ma solo 7500 presero parte alla gara e 6225 furono quelli che tagliarono il traguardo. Oggi è un’altra storia. Un’altra Londra, un’altra maratona: la più partecipat­a e spettacola­re d’Europa.

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AP Da sinistra, sotto il Tower Bridge, Kenensia Bekele, Ghirmay Ghebreslas­sie, Eliud Kipchoge, Dennis Kimetto, Stanley Biwott e Wilson Kipsang

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