Quinziato show «Coraggio, mente felice e saggezza»
Bolzanino ha applicato in gara le tre virtù del buddismo: primo tricolore davanti a Boaro e Moser. «Correrò anche nel 2017, ma vorrei passare questa maglia a Malori»
L’immagine tradizionale di Buddha lo rappresenta seduto, le gambe incrociate, immobile, sprofondato nel nirvana. Anche Manuel Quinziato ieri era immobile, ma le gambe vorticavano e la sua bicicletta volava. Nella cronometro di Romanengo, il bolzanino della Bmc ha dominato il campo, sconfiggendo i favoriti Boaro, Moser, Coledan, Cataldo. È volato a 50,556 orari nel caldo torrido (31-32°). A metà gara aveva il secondo tempo, a 10”73 da Boaro. Poi ha rimontato. Ha preso Coledan e Marangoni. Alla fine ha lasciato Boaro a 38” e Moreno Moser a un minuto. Una grande vittoria in una gara con una nutrita partecipazione (29 al via) e onorata dai giovani, con Moscon, 22 anni, e Martinelli, 23, rispettivamente 4° e 6°.
Come ha costruito questa prodezza?
«Erano sei anni che non partecipavo al campionato italiano a cronometro. Al Giro d’Italia non andavo bene. Allora mi sono detto: “Prepariamo la cronometro”. Ho chiamato Dario Broccardo, che mi ha incitato, quando ho avuto un momento critico. Ho lavorato. Negli ultimi quattro giorni mi sono accorto di volare. Ho fatto la crono più consistente – direbbero gli americani – della carriera».
C’è un aneddoto curioso nella sua gara?
«Ho un amico albanese, Agron Shelai, che fa l’imprenditore, ed è anche il mio mental coach. Eravamo d’accordo di cenare insieme dopo la gara. Prima del via mi ha inviato un messaggio: “Non presentarti a mani vuote”. Mi sono impegnato per questo».
Che sapore ha questa vittoria?
«È stato fantastico vincere. Ma in questa gara c’era un assente, Adriano Malori, il campione uscente infortunato. Spero di passare a lui l’anno prossimo questa maglia».
Chi le è piaciuto?
«Moscon. Un talento. L’ho visto fare grandi cose alla Roubaix. L’Italia nei prossimi anni può essere tranquilla».
La dedica?
«Ai miei genitori. Mio padre ha passato un mese difficile».
Quale massima l’ha guidata?
«“Mente felice. Coraggio. E saggezza” le basi del buddhismo. Una frase folgorante che mi ha dato una monaca australiana».
Come ha applicato in gara queste tre virtù.
«Mente felice: ho cercato l’approccio sereno. Coraggio: per un attimo ho pensato che avevo dietro a me, a un minuto, un giovane rampante, Martinelli, ma mi sono detto “Non avere paura”. Saggezza: l’ho applicata nella gestione della gara; spesso partivo troppo veloce, sono riuscito a finire forte».
La crono è la sua specialità...
«Sono stato campione europeo under 23 nell’individuale, nel 2001. Andavo bene nelle crono brevi. Questa è di qualità diversa».
La maglia tricolore, che le era sfuggita sempre, ottenuta con una performance così bella, prolungherà la sua carriera?
«Il 30 ottobre compirò 37 anni, ho già firmato con la BMC per il 2017. L’avventura continua».
Nella vita, a volte, l’autunno è la stagione più ricca.
«Guardando alla mia carriera, avevo un po’ di rammarico. Fino al 2014 era stata onorevole. Poi ho incominciato a prendermi soddisfazioni nuove: due Mondiali nella crono a squadre, la vittoria all’Eneco Tour, ora la maglia tricolore».
Che cosa si aspetta adesso?
«Nella mia vita c’è una priorità. A novembre ho sposato Patricia, una ragazza spagnola. Ora aspettiamo un bimbo: Gabriel nascerà nella prima metà di agosto».
Che cos’è per lei la bicicletta? Una filosofia, un passatempo, uno sport?
«Tutto questo. È lo sport più bello del mondo. Non muovi solo i muscoli, è anche conoscenza. Come passione ti porta lontano. E, in una società in crisi esistenziale, è il miglior antidepressivo che conosca».
Lei, da bolzanino, come valuta la nuova positività del conterraneo Schwazer?
«Ammesso che sia tutto vero, è follia pura. Lo avevo visto in un’intervista quando era stato squalificato la prima volta: era un’anima angosciata. Ora è un cane che affonda. Non merita di essere bastonato. Ha bisogno di aiuto. Spero che qualcuno lo aiuti a trovare una via d’uscita».