La Gazzetta dello Sport

Cavs, un milione di abbracci

Vie di Cleveland già piene dalle 5 del mattino per festeggiar­e il primo titolo dopo 52 anni LeBron promette: «Tranquilli, non vado via». JR Smith: «Mi nutro dell’energia della gente»

- Davide Chinellato INVIATO A CLEVELAND (USA) GIOVEDÌ 23 GIUGNO 2016

Tutti in strada. Tutti con addosso la maglia o un qualche simbolo dei Cavaliers. Un milione e passa di persone, anzi 1,3 milioni secondo le stime della polizia, per una città che non supera il mezzo milione di abitanti. Cleveland non poteva riservare un abbraccio più caldo a LeBron James e compagni, la prima squadra cittadina a vincere un titolo in 52 anni. Se la fine di gara-7, domenica sera, ha rappresent­ato il momento più bello, quello dell’esultanza, questo è stato il giorno che tutta la città aspettava: quello della parata, della festa, dell’abbraccio collettivo alla squadra che ha spezzato la maledizion­e, che ha restituito a Cleveland l’orgoglio e la speranza perduti in decenni di delusioni sportive. E la ciliegina sulla torta è la promessa di LeBron di tornare a difendere il titolo: «Non vado da nessuna parte» ha detto mentre sfilava. Non che ci fossero dubbi che King James sarebbe tornato: entro fine mese uscirà dal contratto che lo legherebbe ai Cavs anche per la prossima stagione, poi rifirmerà a cifre più alte (il massimo salariale per un giocatore con la sua esperienza nel 2016-17 sarà di 30,7 milioni di dollari). Ma la sua promessa è quello che tutti volevano sentire.

LA PARATA L’inizio ufficiale della sfilata dei Cavs era fissato per le 11 locali, le 17 italiane, ma la

LeBron con tanto di sigaro osannato per Cleveland

Kyrie Irving scatenato

Il muro di gente durante la parata

Iman Shumpert a torso nudo

Anche Kevin Love con il sigaro gente ha cominciato a riversarsi in strada dalle 5 del mattino. Caldi, colorati, rumorosi, tutti in attesa del passaggio dei loro eroi. La sfilata è stata molto lenta: i giocatori erano ognuno a bordo di un auto, per lo più sportive, circondati da famiglia e amici, e i loro veicoli venivano circondati al passaggio nelle zone con più tifosi. James, che ha sfilato preceduto dai ragazzi del suo liceo ad Akron, è stato ovviamente il più applaudito: quando è arrivato all’incrocio di Ontario e Huron e ha visto il suo maxi poster che è diventato uno dei simboli sportivi di Cleveland, si è alzato e ha mimato la stessa posa. Il più scatenato è stato, come nelle attese, JR Smith: la maglietta probabilme­nte l’ha lasciata a Oakland, indosso aveva i pantalonci­ni di gara-7 e ha sfilato per buona parte della parata sul tetto del pick-up che dalla Quicken Loans Arena l’ha portato fino al palco allestito al Cleveland Convention Center, con vista sul lago. «È la miglior sensazione del mondo – racconta Smith –. Penso di aver dormito 8 ore da gara-7, non ho mangiato ma mi nutro dell’energia della gente: sono i migliori tifosi che esistano». Ma gli applausi di Cleveland sono stati per tutti, e ogni giocatore ha dato ai tifosi quello che poteva: un autografo, un selfie, un abbraccio, una stretta di mano.

LA GENTE DI CLEVELAND La città ha sognato per oltre mezzo secolo un giorno come questo. Un giorno in cui sentirsi orgogliosi di essere di Cleveland, del nordest Ohio dove, per usare le paro- le di LeBron nella lettera in cui due anni fa ha annunciato il ritorno a casa, «nulla è garantito e te lo devi guadagnare». «Quando è tornato, LeBron ci ha ridato la speranza che un giorno come questo potesse davvero succedere – racconta Justin, che ha seguito la parata dal hotel di 9th Street in cui lavora –. Come tifosi abbiamo sempre avuto speranza, ma finora non ci eravamo mai sentiti completi perché ci mancava il titolo». La marea Wine&Gold di Cleveland aspetta ordinata l’arrivo dei giocatori e il passaggio di una parata che contava oltre 70 veicoli. Sono di ogni età, razza, religione, ceto sociale. Tutti stretti attorno alla squadra. Brandon, nato e cresciuto a Cleveland, si è trasferito a Washington ma non ha voluto perdersi il momento più importante nella storia sportiva della città. «È incredibil­e come una partita abbia completame­nte cambiato l’atmosfera qui attorno – racconta tenendo in mano un cartello in cui LeBron tiene lontano il Larry O’Brien Trophy da una versione bambina di Steph Curry –. Prima era deprimente, andava tutto storto. Ma domenica, gara-7, ci ha dimostrato che le cose possono andare bene anche per Cleveland». La città può mettersi così alle spalle oltre 50 anni di sofferenze sportive, di titoli mancati per una giocata, un’azione, una maledizion­e. LeBron James ha restituito la speranza, i suoi Cavs vincendo questo titolo Nba con una storica rimonta hanno ridato l’orgoglio ad un’intera città.

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