«Federciclo pachidermama» La sfida di miss Gimondi di
1Sabato il nuovo presidente: Norma, figlia di Felice, sfida Di Rocco. «La crisi è economica e politica»
Norma, figlia del grande Felice, candidata data contro Di Rocco: «Cambiamo marciaia»
«La prima cosa che farò domenica se verrò eletta presidente? Andrò in bicicletta. Cinque ore, per isolarmi da tutto». Norma Gimondi, nella Sala Cannavò della Gazzetta dello Sport, svela i particolari di una candidatura che da settimane sta scuotendo il mondo italiano della bicicletta. Un cognome mitico e una donna, che sarebbe la prima al vertice della Federciclismo. Accanto c’è papà Felice, che con piacere ha rivisto le foto di Girardengo e Binda, Coppi e Bartali, e... Merckx. Sabato, al Mart, il museo di arte moderna e contemporanea di Rovereto (Trento), il destino sarà nei voti dei 242 delegati provinciali.
Norma Gimondi, perché un delegato dovrebbe sceglierla?
«Non ho nulla contro il presidente Di Rocco, in 40 anni ha fatto tanto per il movimento, ma il cambiamento è maturo. La Federazione è diventata un pachiderma burocratizzato, ben poco aziendale. Non so se altri 4 anni di stasi facciano bene. Nel 2016 ci sono state 87 delibere presidenziali, e siccome sono uno strumento di urgenza, vuol dire che la Federciclo ha una gestione di urgenza».
La crisi è economica o politica?
«Tutte e due. Nel 2017 una federazione non può basarsi unicamente sul contributo del Coni, e in più l’80% del budget va negli stipendi e nel funzionamento della struttura centrale.
I soldi ci sono in giro, ma bisogna andarli a cercare. I grandi sponsor italiani vanno all’estero, in squadre straniere».
A chi si rivolge?
«Il ciclismo deve uscire dai soliti canoni usati oggi. Penso all’imprenditoria, tanti industriali mi stanno sostenendo, “vai avanti, hai le idee giuste, pensi come noi”. Sono nomi fuori da quelli di settore. Penso al turismo e all’importanza della bici che, assieme, possono dare un’immagine appetibile anche all’estero. Penso ai tracciati cicloturistici che sono una risorsa. E poi lo scatto fisso, la Bmx».
Le prime decisioni?
«Mi muoverò con piccoli passi, perché bisogna ricostruire la federazione dal basso. Dai comitati provinciali e regionali che
ora sono tagliati fuori dalle decisioni. Vedo un movimento fermo, una Fci spettatrice quando deve essere soggetto attivo. Le società sono stanche della burocrazia, non c’è ricambio tra i dirigenti, le persone sono sempre più vecchie. E poi ci vuole il federalismo fiscale. Non è possibile che il comitato di Brescia versi 250 mila euro alla Federciclo e ne abbia 5 mila indietro. Chi lavora bene sul territorio, deve avere una gratificazione economica».
Il professionismo?
«La Federciclo ha abbandonato l’attività di vertice e non sarà facile tornare ad avere squadre top. Così come le corse e i corridori che abbiamo perso».
L’aspetto chiave?
«La Federazione deve essere il perno attorno al quale ruota tutto, e deve essere collegiale, mentre adesso decide tutto uno solo. Penso all’immagine dei nostri atleti. Guardo altre federazioni, guardo la Pellegrini, la Vezzali, la Kostner, e vedo progetti, grandi sponsor, visibilità, immagine che va oltre l’ambito ciclistico. Da noi manca tutto questo. Il ciclismo femminile è trainante, ma è in crisi di visibilità: c’è qualcuno che pensa di investire sulle nostre ragazze? E questo si riflette sul territorio: l’istituzione deve essere di supporto al singolo, deve aiutarlo a risolvere i problemi».
Abbiamo rivinto un oro olimpico con Elia Viviani a Rio.
«E mi dite quanto è stato sfruttato questo oro a livello di immagine? L’Olimpiade doveva essere sfruttata meglio. La ma- glia azzurra deve diventare di interesse economico. Il Made in Italy, per esempio, deve essere il partner naturale».
Che atmosfera ha sentito?
«Da quando sono scesa in campo, il movimento si è spaccato. Uno sport maschilista, dove la donna è la miss del ciclismo, è la miss sul palco. Chi aspira a un ruolo diverso, non è digerita. Tante persone vedono in me un’opportunità di rinnovamento e cambiamento. La cosa che mi ha fatto più piacere è la gente che ho incontrato, ti stringe la mano, ti sorride, e poi sui social, dal massaggiatore di papà ai giovani che scrivono “abbiamo bisogno del cambiamento”. Io ci credo. Ho cinque bici, ho scalato il Ventoux e il Tourmalet: non mi fermo adesso».