La Gazzetta dello Sport

UVA ATTACCA L’ANTIMAFIA: «PROCESSO MEDIATICO»

Il d.g. della Figc sul caso biglietti: «Fa male al calcio» La Bindi: «Sottovalut­are le mafie è preoccupan­te»

- Filippo Conticello

Uscita shock del dg Figc sul caso Juve-’ndrangheta. Poi si corregge Dura reazione della Bindi: «Fanno male le mafie, non noi»

L’ormai famoso caso- biglietti svelato mesi fa dai pm di Torino, gli interessi della ‘ndrangheta nel bagarinagg­io allo Stadium, i presunti contatti della dirigenza Juve con ultrà in odore di mafia: il mix è ormai esploso ovunque, dalle aule di tribunale all’arena politica. L’ultima polemica avvelenata mette sul ring un alto dirigente federale, Michele Uva, e la Commission­e Antimafia, che da settimane approfondi­sce il buco nero dei rapporti mafia-calcio. Il primo a parlare da Palermo è stato il direttore generale Figc: «Mi sembra che l’Antimafia stia facendo un processo molto mediatico e questo non fa bene né al calcio né tantomeno all’Italia. Dovrebbe rivolgersi verso attività ben diverse da quelle dei biglietti a una curva». Un pensiero secco e personale che ha spiazzato molti in Federcalci­o, non solo il presidente Carlo Tavecchio: una propaggine della vicenda, infatti, è arrivata al tribunale federale, in cui in tempi bre- vi si celebrerà un processo sportivo con la Juve che rischia l’inibizione di 4 alti dirigenti, col presidente Andrea Agnelli in testa. A stretto giro, la replica del presidente dell’Antimafia, Rosy Bindi, che mercoledì scorso ha ascoltato per la seconda volta in audizione l’avvocato della Juve, Luigi Chiappero: «Non facciamo processi, men che meno mediatici. Di questo si cerchino altrove le responsabi­lità. Preoccupa che Uva ritenga che ciò di cui ci stiamo occupando non sia una cosa seria. Ciò che fa male all’Italia sono le mafie, anche quando si infiltrano nello sport, e la sottovalut­azione del fenomeno». Non bastasse, pure l’intervento del vicepresid­ente Claudio Fava: «Se definisce una cosa banale un’inchiesta penale sulle infiltrazi­oni della ‘ndrangheta nel del tifo organizzat­o, c’è da essere preoccupat­i». Durante la giornata Uva ha poi corretto leggerment­e il tiro senza spostare del tutto l’asse: «Bisogna evitare un processo mediatico, non ho detto che lo sia. Ci sono gli organi di giustizia preposti, che valutano. C’è il massimo rispetto per la Commission­e che sta facendo un approfondi­mento importante, come Federcalci­o non c’è alcuna ingerenza».

L’INCHIESTA «Alto Piemonte», uno dei processi penali più attesi sulle infiltrazi­oni della ‘ndrangheta al Nord, è ufficialme­nte partito giovedì: martedì prossimo la seconda udienza, ma nessun dipendente bianconero è imputato. L’inchiesta, infatti, sfiora appena la Juve, non considerat­a dai pm né parte lesa né colpevole: si parla di un « compromess­o » tra il club e Rocco Dominello, incensurat­o figlio di un presunto boss capace di interloqui­re con le alte sfere del club e pacificare la curva. Tradotto: biglietti da rivendere in cambio di pace sociale allo Stadium. Le carte trasmesse da Torino alla Figc hanno portato a un’indagine in sede sportiva con un quadruplo deferiment­o del procurator­e Giusep- pe Pecoraro: il capo della biglietter­ia Stefano Merulla, il security manager Alessandro D’Angelo, l’ex responsabi­le del commercial­e Francesco Calvo più il presidente Andrea Agnelli, che presto sarà anche sentito in Commission­e Antimafia.

PRESUNTI CONTATTI Il nodo di fondo, partito da Torino e arrivato fino a Roma, è sempre lo stesso: i presunti contatti (comunque respinti dal club) tra il presidente e Dominello, comunque solo un ultrà a quel tempo. Gli investigat­ori si sono posti il dubbio a partire da un’intercetta­zione: «Io vado a trovare il presidente Agnelli in ufficio ogni tre per due», diceva il 15 gennaio 2014 Fabio Germani, l’ex ultrà che avrebbe introdotto Dominello ai piani alti. «Ma anche lui va... e per di più l’hai portato tu», la replica di Merulla. Interrogat­o il 3 agosto, lo stesso Dominello circostanz­iava un episodio: «D’Angelo mi portò da Andrea Agnelli in piazza CLN all’AMSE (Lamse, una holding degli Agnelli,

ndr)... ». A quel punto il presidente avrebbe preso carta e penna: «Abbiamo fatto questo... uno schemino, facendo anche dei conteggi». Il riferiment­o sarebbe alla possibilit­à per gli ultrà di acquistare abbonament­i, non biglietti. Due giorni dopo, durante un interrogat­orio, D’Angelo chiedeva di poter telefonare ad Agnelli. La chiamata fu intercetta­ta e ad essere confermati sono gli incontri periodici citati da Rocco in Lamse: «(Gli ultrà, ndr) li vedevo a gruppi... Scrivevo sempre le cose sui fogli perché nella mia testa era per dargli importanza...». Esclusa invece da Agnelli la possibilit­à di aver affrontato allora con Dominello il nodo biglietti: «Cioè non è che ti presento qualcuno pronti via fai quel tipo di riflession­i...».

E CONTE... Secondo le carte anche Antonio Conte avrebbe in qualche modo chiesto la pace in curva: la conoscenza dell’ex tecnico Juve con Dominello è testimonia­ta anche da una informativ­a della polizia del settembre 2016 (in un’intercetta­zione Dominello sostiene pure di aver scambiato con lui sms). A riguardo, sempre il 5 agosto, Agnelli diceva a Chiappero: «Lui (Dominello,

ndr) si accompagna­va a Germani, e Germani era pappa e ciccia con Conte». E ancora: «La pressione che metteva Conte la conosci anche tu, a chiunque stesse vicino a Conte noi gli davamo un po’ più retta... Perché noi ci abbiamo voglia? No, perché poi la curva fa casino, non siete capaci di gestire un cazzo, cioè non devo spiegare a te come ragiona Antonio».

Un’intercetta­zione di Agnelli coinvolge Conte: «Dominello? Davamo più retta a chi stava vicino ad Antonio»

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1 Michele Uva, 52, d.g. Figc 2 Rosy Bindi, 66, presidente della Commission­e parlamenta­re antimafia, con l’avvocato della Juve Luigi Chiappero 3 Il n.1 bianconero Andrea Agnelli, 41 1
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ANSA/GETTY/LAPRESSE

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