PERSONAGGIO Verratti variabile Così il c.t. studia l’Italia che cambia
Olanda l’unico gol in azzurro, stasera centrale con licenza di ispirare nel 3-4-1-2 sperimentale
L’Amsterdam Arena per Marco Verratti non sarà mai uno stadio qualunque. Stasera sarà anche il luogo per riallacciare certi fili che ha maneggiato in passato, e magari tenderne di nuovi. Un po’ centrale e un po’ interno con licenza di scorazzare: è il progetto di una notte diversamente ispirata che Ventura ha anche per lui. A prescindere da quel numero 10 che avrà ancora sulle spalle.
IL PRECEDENTE Il salto indietro sarà di quattro anni abbondanti: Amsterdam, amichevole Olanda-Italia, finale 1-1. Verratti lo chiamavamo ancora il bambino prodigio, oggi è diventato il fratellino (maggiore) d’Italia: giovane fra i giovani ma tutt’altro che vergine di esperienza internazionale, abbastanza duttile da incarnare l’alto indice di variabilità tattica a cui il c.t. sta cercando di svezzare la squadra. Era il 6 febbraio 2013, in panchina c’era Prandelli che a fine partita mescolò complimenti e rimproveri per difetti ancora non emendati: «Certe entrate in scivolata deve evitarsele». Una vita fa, sembrerebbe. Marco aveva sulle spalle il numero 2: « Un omaggio a Kallon», disse. Confessava di aver da poco scritto un sms al maestro Zeman per l’esonero (a volte ritornano: il boemo spesso...). E però sulla sua esperienza parigina dettava parole in fondo non così dissimili da quelle di oggi: «Felice di essere al Psg, ma il sogno di tutti è giocare in Serie A». Già allora non si era mai smesso di parlare di Juve, già allora il ragazzo sapeva dribblare anche fuori dal campo: «Guardo Juve Channel? No, solo Pescara Channel».
L’UNICO GOL Quella notte Verratti segnò l’1-1 che salvò faccia e risultato: il suo primo e finora unico gol con la maglia azzurra. Non ne aveva mai fatti neanche nell’Under 21, zero nelle successi- ve 17 gare in Nazionale. Troppo pochi, e deve pensarlo anche Ventura. Che dopo avergli apparecchiato il centro del campo venerdì scorso a Palermo, mettendolo seduto accanto a De Rossi, stasera gli chiederà di alzarsi da tavola ogni tanto e di spostarsi un po’, magari un po’ più a sinistra. Centrale a due nel 4-2-4 contro l’Albania; centrale con digressioni da interno nel 3-5-2 variabile in 3-4-1-2 sperimentale (con Verdi trequartista) stasera contro l’Olanda. Quattro anni fa Verratti spiegava ancora di trovarsi «meglio in un centrocampo a tre». Forse oggi ha cambiato qualche idea rispetto ad allora: più o meno dichiaratamente, confessa una preferenza per la zona di prato davanti alla difesa, «dove posso giocare più palloni». Però alzandosi un po’ ne può giocare altri, semplicemente diversi da quelli con cui disegna l’alba di un’azione. E comunque Verratti è sempre stato il primo a vedersi diverso da Pirlo, e al destino di galleggiare diversi metri più avanti si è abituato nel Psg: a riarretrare il baricentro - lo dice la storia di tanti ispiratori di gioco - si fa sempre in tempo. Più difficile è abituarsi a certe bufere mediatiche in Francia, ma la novità di ieri è che l’Equipe gli ha chiesto scusa per le illazioni su certe notti brave dopo la débacle di Barcellona-Psg. E l’azzurro ha ritirato la querela sporta contro il quotidiano francese.
L’APPUNTO DI VENTURA Per l’oasi di pace che oggi rappresenta per lui la Nazionale, Verratti ha sempre detto di essere disposto ad adattarsi a qualunque ruolo del centrocampo. E Ventura non è meno coerente di lui. Fin dalla sua prima partita da c.t. del «parigino», fece quello che aveva fatto Prandelli quattro anni prima di lui, pur con appunti diversi: parlò di ottima partita di Verratti, ma gli chiese di non fare così tanti metri all’indietro per andare così spesso a prendersi la palla, «perché lì c’è Bonucci, e certe cose può farle anche lui». Stasera non gli darà indicazioni granché diverse. E chissà che Amsterdam non sia ancora, quattro anni dopo, una promessa di nuove altezze da scalare.