La Gazzetta dello Sport

Booker, mister 70 punti «Divento il migliore in Nba poi magari torno a Milano»

- L’INTERVISTA di DAVIDE CHINELLATO

CHINELLATO

Si allena pensando di essere ai playoff, anche se non ci arriverà nemmeno quest’anno, il secondo della sua carriera Nba. « Voglio essere pronto, perché quello è il livello di basket più alto che esista». Devin Booker ha poco più di 20 anni, ma ha una testa da star e un talento speciale che gli ha permesso di segnare 70 punti in una partita sola, a Boston. È diventato il sesto di sempre a superare un muro che nessuno aveva infranto da quando Kobe Bryant, una delle sue fonti di ispirazion­e assieme al padre Melvin, ne fece 81 nel gennaio 2006. Il talento di Phoenix assomiglia molto al Mamba, e non solo perché gioca nello stesso ruolo, è alto 196 centimetri quanto Bryant ed è stato scelto con la chiamata numero 13 al draft. «Kobe è uno dei più grandi di sempre, non voglio mancargli di rispetto. Ma un giorno anche io vorrò essere nominato quando si parla dei migliori». Devin, 70 punti in una partita sono un bel modo di cominciare. «Sto ancora cercando di capire bene cosa ho fatto. Credo però che lo realizzerò solo a carriera finita: mi piace affrontare la vita giorno per giorno e in Nba succede qualcosa di nuovo in ogni partita. E poi ci sono ancora tante cose che voglio fare in carriera…». Credeva di esserne capace?

«Perché no? Non mi sono mai posto limiti, voglio sempliceme­nte essere il migliore. In tutto, non solo nel basket. Per lo stesso motivo non penso di essere andato oltre le aspettativ­e nei miei primi due anni di carriera: non avevo aspettativ­e, ho sempre pensato che il mio limite sia il cielo». Qualche traguardo se lo sarà posto. «Voglio cominciare a vincere. Gioco in una squadra molto giovane, che ora sta perdendo tante partite. Ma stiamo crescendo insieme e da questa stagione impareremo tanto. Io sto cercando di essere un leader». Suo padre, Melvin, ha giocato anche in Italia, a Pesaro e Mila- no: quanto è stato importante avere un padre giocatore? «È stato un vantaggio enorme: vederlo profession­ista nello sport che amava ha fatto crescere in me la voglia di fare lo stesso. Chiusa la carriera si si è trasferito con me in Mississipp­i: avevo 12 anni, mi ha insegnato tutti i segreti del basket. Gli devo tanto, così come devo tanto a mia madre». Prima della sua ultima stagione

A 12 ANNI MI HA INSEGNATO TUTTI I SEGRETI DEL BASKET DEVIN BOOKER SUL PADRE MELVIN DOPO I 70 PUNTI, L’ASSO DEI SUNS RIVELA: «GRAZIE A PAPÀ HO CONOSCIUTO GALLINARI PER ME È COME UN FRATELLO MAGGIORE» L’HO INCONTRATO IN UNO DEI SUOI STORE, HO UN GRAN BEL RICORDO MELVIN BOOKER SU GIORGIO ARMANI

da pro’, suo padre la portò con sé a Milano per un periodo… «Sì, era il 2007, e da allora Danilo Gallinari, che giocava con mio padre, è diventato per me un fratello maggiore. Mi regalò anche delle magliette di Armani, uno dei tanti bei ricordi di quella vacanza, così come l’incontro con Giorgio Armani in uno dei suoi store». Milano le è rimasta nel cuore, quindi?

«Mi sono innamorato talmente tanto della città che mi piacerebbe anche giocarci, un giorno. Ma mio padre dice che è meglio io stia in Nba, vicino alla famiglia: a lui la città è piaciuta tanto, ma è stato durissimo rimanere lontano dalla famiglia». Cos’è per lei Kobe Bryant?

«Mi ispiro a lui, soprattutt­o per la sua mentalità. Gioco con e contro gente che l’ha affrontato, e tutte le storie su di lui sono simili quando si parla di mentalità, etica del lavoro, voglia di vincere e di essere il migliore: penso di assomiglia­rgli in questo, anche se non voglio certo dire di essere al suo livello». Il Mamba però non era il suo idolo d’infanzia, vero? «In effetti no, sono cresciuto in Michigan ed ero un gran tifoso dei Pistons: i miei idoli erano Rip Hamilton e Chauncey Billups. Ma ho sempre rispettato Kobe. E ora che gioco in Nba apprezzo ancora di più quello che ha fatto perché capisco quanto è duro riuscirci». Un anno fa Bryant le regalò anche un paio di scarpe con dedica: «Sii leggendari­o». «Per me quell’incontro ha significat­o moltissimo: non tanto per le scarpe, quanto perché nel bel mezzo del suo tour d’addio Kobe si è preso del tempo per parlare con me. Lui probabilme­nte non lo sa, ma tutto quello che mi ha detto mi è rimasto dentro» E cosa le ha detto Kobe?

«Abbiamo parlato per 15 minuti, ha continuato a ripetermi che avevo una chance». Pensa davvero di poter diventare leggendari­o? «Voglio essere un vincente. Un leader. Il migliore».

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