La Gazzetta dello Sport

«ITALIA E’ AMORE LA BICI E’ SFIDA VORREI VEDERE PIU’ CORAGGIO»

- L’INTERVISTA di CIRO SCOGNAMIGL­IO MILANO

LA PICCOLA SCALA PER UN GIGANTE DEL CICLISMO Il Teatro Gerolamo di Milano, costruito nel 1868, appena restaurato e considerat­o la Piccola Scala per i particolar­i del suo interno, ha accolto l’ingresso di Bernard Hinault nella Hall of Fame del Giro. Il bretone succede a Merckx 2012, Gimondi 2013, Roche 2014, Moser 2015 e Baldini 2016. Una giornata cominciata a Milano con la visita alla Gazzetta

Quando la staffetta tra giorno e sera si compie, e tocca mettere in ordine le immagini simbolo di una giornata difficile da dimenticar­e, c’è solo il piacevole imbarazzo della scelta. A cominciare dall’incontro casuale, nella redazione della Gazzetta dello Sport attorno a mezzogiorn­o, che mette davanti Bernard Hinault a 28 bambini della quinta elementare della «Leonardo da Vinci» di Milano. «Quel signore — gli viene spiegato e sembra l’inizio di una favola — è stato uno dei più grandi campioni di ciclismo della storia. Ha vinto 5 Tour, 3 Giri d’Italia, 2 Vuelta, e tanto altro ancora...». E via con le foto, gli autografi, una piccola grande festa. Per finire, scavallate le sei della sera, al Teatro Gerolamo, appena riaperto dopo 33 anni di attività e sei di restauro: siamo a Piazza Beccaria, a uno sguardo dal Duomo e da quella via Pasquirolo (che ora non c’è più) dove la Gazzetta vide la luce il 3 aprile 1896. «Un piccolo Olimpo», lo definisce il direttore della Rosea Andrea Monti. E’ lì che Hinault, accompagna­to dalla moglie Martine, entra nella Hall of Fame del Giro d’Italia vinto 3 volte su 3 partecipaz­ioni (1980, 1982, 1985) e riceve l’omaggio di campioni e amici. «E’ un onore fantastico entrare in questo club così ristretto. Nel Giro ho vissuto alcuni tra i grandi momenti della mia vita», spiega il grande «Blaireau», il «Tasso». Che, nel forum in redazione e non solo, ha parlato a tutto campo con la consueta passione regalando (anche) una visione illuminata del pianeta ciclismo e dintorni.

Hinault, cosa rappresent­a per lei l’Italia?

«Il mio secondo Paese, nel cuore. E quello in cui ho corso di più dopo la Francia. E poi, Italia è il Giro. E un pubblico speciale».

Perché?

«Il favoloso rispetto per gli atleti. Quando andavo al controllo antidoping dopo la tappa, facevo 200 metri tra due ali di folla. Mi incitavano tutti, anche se avevo battuto italiani. E non mi toccavano».

Il soprannome “Tasso”. Perché?

«All’inizio era una parola comune in gruppo, non riferita solo a me. Ma due miei compagni, Le Guil-

RE DI DUE GIRI

loux e Talbourdet, mi chiamarono così davanti a Pierre Chany, una grande firma dell’Equipe. Lui lo scrisse. E’ cominciato così. A me piace, perché sapevo stare nascosto nel gruppo ma poi uscire e mordere al momento giusto. E ci sono tanti tassi anche dove vivo. A Dinan, in Bretagna».

Passiamo ai Giri d’Italia vinti. Un momento più bello di altri?

«Il più bello è sempre la premiazion­e finale, quando ti ripassano davanti agli occhi tutto quello che hai dovuto fare per arrivare fino a lì. Alla prima partecipaz­ione, nel 1980, avevo già vinto Tour e Vuelta. Ma sapevo che il Giro era più duro come salite della Vuelta. E che, a differenza del Tour, ogni giorno sarebbe potuto succedere qualcosa. Ma le montagne italiane non le conoscevo».

Come faceva?

«Oggi tutti hanno la scienza infusa, usano il computer o fanno le ricognizio­ni. La mia generazion­e usava molto le cartine. E poi Vittorio Adorni veniva in camera, la sera, a spiegarmel­e. Se ne amavo una in particolar­e? Beh, lo Stelvio. Un gigante. Lungo, duro, una discesa molto tecnica con i tunnel. E Montecampi­one».

Ha smesso presto, a 32 anni. Perché?

«Avrei avuto altri due-tre anni buoni, ma le mie ispirazion­i per la bici sono state Merckx e Anquetil e loro a 34 anni non erano forti come prima. Così ho scelto io il momento in cui andarmene, non volevo che altri mi mettessero alla porta».

Lei per due volte — 1982 e 1985 — ha realizzato la doppietta con il Tour. Oggi non ci prova nemmeno quasi nessuno. Che ne pensa?

«Nel ciclismo di oggi il calen-

«I SUOI 3 GIRI LI HO GODUTI PURE IO: GLI SPIEGAVO TUTTE LE TAPPE» VITTORIO ADORNI PRIMO AL GIRO 1965 «HA SEMPRE GIOCATO A VISO APERTO, SENZA MAI TROVARE SCUSE» FRANCESCO MOSER QUI CON MOTTA E HINAULT «LO VIDI LA PRIMA VOLTA NEL ‘76 IN UN CIRCUITO: NON STAVA MAI FERMO» FELICE GIMONDI RE DI TRE GIRI «QUANDO VENIVA AL GIRO, CAMBIAVO TATTICA: PUNTAVO SOLO ALLE TAPPE» BEPPE SARONNI

dario aiuta molto, rispetto ai miei tempi. Tra il Giro e il Tour ci sono più di 30 giorni, tra il Tour e Vuelta quasi 30. I materiali sono migliori, gli hotel pure. Sarebbe possibile tentare non solo la doppietta, ma anche la tripletta Giro-Tour-Vuelta nello stesso anno. Intendo per vincere tutti e tre. Io saprei come fare!».

E’ un problema di mentalità dei corridori di oggi?

«Hanno paura di perdere, di osare. Eppure il quinto di un grande giro non se lo ricorda nessuno. Ricordate all’ultimo Tour, quando Bardet vinse la tappa e Froome era scivolato? Alla fine il direttore sportivo di Bardet disse che gli aveva disobbedit­o, che da lui era arrivato il consiglio di non muoversi. Ma che significa? E in generale, c’è la tendenza a pensare che la gara si possa decidere solo nell’ultima ora. Non è così, ricordate Contador a Fuente Dé alla Vuelta 2012? Ho letto uno studio in Francia: l’80 per cento degli spettatori guarda il Tour per i paesaggi più che per l’agonismo. Capito? Bisogna giocare più con tattica. Attaccare, essere aggressivi, crederci. Inventare. Invece di dire ai corridori di restare in gruppo per prendere punti per le varie classifich­e, spesso sconosciut­e ai più».

Lo stato di salute del ciclismo odierno com’é?

« Non è ottimo perché conta più il denaro del valore. Una squadra può diventare World Tour per i soldi, più che per i risultati. Ci vorrebbe un sistema aperto, con promozioni e retrocessi­oni. Non è giusto poi che entrino nella massima serie delle gare senza una storia alle spalle. E gli organizzat­ori devono essere più liberi negli inviti. Ora si vedono squadre che partecipan­o a certe corse senza un vero interesse. A che cosa serve? A chi giova?».

Dei freni a disco che dice?

«Li userei subito e li dovrebbero usare tutti. E’ il campione che deve imporre le regole e fare evolvere la tecnica. Sono un grande progresso»

Chi le piace in gruppo oggi?

«Uno come Sagan. Per modo di porsi per il coraggio. E’ il bello del ciclismo»

E il Giro 100? Che si aspetta?

«Quintana, Nibali e Aru vengono prima degli altri nei pronostici. Pinot? Troppa crono. Mi sembra che né lui né Bardet siano ancora pronti a trionfare in un grande giro».

Chi vede come prossimo ad entrare nella Hall of Fame?

«Indurain e Saronni».

La bici ha un futuro roseo?

«Sempre più gente pedala. E la bici si apre al mondo in maniera esponenzia­le. Africani e asiatici lotteranno per vincere il Giro e il Tour».

Hinault, lei era ed è famoso per carattere e convinzion­e. E’ sempre stato così?

«Sì. A mia madre, prima della gara d’esordio, dissi che le avrei portato i fiori del vincitore. Al mattino del Mondiale di Sallanches raccomanda­i all’albergator­e di mettere in fresco lo champagne (arrivò 2° Baronchell­i, che ha incontrato ieri Hinault in Gazzetta tra ricordi e commozione, ndr). Ma ho sempre rispettato ogni avversario. Rivali acerrimi in gara, ma a cena insieme alla sera se capitava. Questa è la mia idea dello sport».

IL BRETONE: «OGGI POTREI VINCERE GIRO, TOUR E VUELTA NELLO STESSO ANNO. ADESSO CONTANO SOLO I SOLDI, INVECE DEVE VALERE IL MERITO: SI CORRE TROPPO PER I PUNTI DEI PIAZZAMENT­I. I DISCHI? LI USEREI SUBITO» «PER WLADIMIRO HINAULT ERA PIÙ UMANO DI MERCKX. ERANO AMICI» MARIA ROSA PANIZZA VEDOVA DI MIRO, 2° AL GIRO ’80 «È STATA UNA FORTUNA PER ME AVER VISSUTO IL CICLISMO CON LUI» SILVANO CONTINI 1 GIORNO IN ROSA AL GIRO ’82 «MA PER UN ATTIMO, BERNARD, HAI AVUTO PAURA DI ME?» G.B. BARONCHELL­I 2° AL MONDIALE 1980

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FOTO BOZZANI Bernard Hinault, 62 anni, e il Trofeo Senza Fine
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FOTO LUCA BETTINI Nel Teatro Gerolamo, Bernard Hinault alza il Trofeo Senza Fine. Da sin. Stefano Allocchio, Aldo Moser, Gilberto Simoni, Beppe Saronni, Francesco Moser, Vittorio Adorni, Felice Gimondi, Silvano Contini e Dino Zandegù
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