SE IL CALCIO ABITA VIA DELLA POVERTA’
Sabato 22 aprile, stadio Artemio Franchi, tribuna Maratona laterale: Icardi segna il provvisorio 2-1, io insieme ad alcune altre migliaia di persone ci stampiamo in faccia un «emoji» che ride. Un tizio sulla quarantina, due file dietro alla mia, ingenuamente (...ma non è questa la parola giusta) si mette in piedi e alza le braccia al cielo. Viene subito notato da due normalissimi signori, uno con la faccia da rappresentante di prodotti per la pulizia, l’altro da meccanico in pensione, che iniziano a rivolgere al sovversivo ingiurie ed epiteti di ogni genere ricordandogli che era un ospite e doveva attenersi a delle regole non scritte ben precise. A dar manforte a questi facinorosi sopraggiungono subito altre persone, ricordando al malcapitato di turno di aver ben memorizzato i suoi tratti somatici nel caso successivamente ce ne fosse stato bisogno. La sparatoria verbale giunge al termine solo dopo un quarto d’ora, quando alcuni tifosi di casa accanto a me intervengono nella contesa con un perentorio «Ora basta», che tradotto significava «avete fatto bene a fare quello che avete fatto, ma erano sufficienti 5 minuti di insulti...». Prima dell’ inizio del secondo tempo, l’ormai indesiderato tifoso veniva accompagnato dagli steward nel settore ospiti, il tutto mentre un ragazzino proprio dietro di me sfoggiava una sciarpa con la scritta «Juve-parolaccia», come traduceva mia figlia che tenevo in braccio.
Ora io mi chiedo: com’è possibile evitare tutto ciò? A mio parere sarebbe stato più giusto allontanare, magari una volta spentasi la contesa, i due maleducati, ma non sono un esperto di ordine pubblico, e chi ha agito sicuramente ne sa più di me. Da dove nasce tutta questa inciviltà? Perchè i due signori, che mezz’ora prima avevano sorriso alla mia bambina e partecipato al minuto di silenzio in memoria di Scarponi, si sono trasformati in Mr Hyde al primo gesto che ha urtato la loro suscettibilità? Perché a quel bambino è stata comprata quella impresentabile sciarpa? Penso che in cuor suo avrebbe preferito la maglia di Bernardeschi o di Chiesa. Non ho la risposta ma credo che un po’ di verità ci sia nel fatto che nessuno si sente più responsabile neppure dei propri comportamenti: la colpa di quello che accade di sbagliato è sempre di altri o meglio del «sistema», inteso come induzione che giustifica una reazione, e questo accade sia allo stadio, sia fermi ad un semaforo, sia a casa ecc. ecc.
Occorre un’ inversione di rotta, ma non della collettività: piuttosto da fare ognuno per conto proprio, nessuno escluso. Potremo costruire stadi nuovi, più accoglienti, magari anche con le gradinate di marmo, con il plexiglas dei parapetti bordato in oro: saremo solo più sfarzosi e più moderni, ma non più civili. Lo so che avrà ricevuto altre centinaia di lettere su questo argomento e rileggendola ci trovo numerose ovvietà e banalità, ma da qualche giorno ogni tanto ripenso a questo episodio e provo rabbia e pena perché siamo sempre più spesso la caricatura di noi stessi, personaggi grotteschi, simili a quelli cantati da De Andrè in Via della Povertà.
Daniele Barlesi (Quarrata, Pt)
Sì, le lettere di questo tenore sono frequenti, ma io non ci vedo nè banalità nè ripetitività. L’ormai consueta cornice di inciviltà della tribuna calcistica «media» la porta ad un’opinione secondo me centrale: il sentirsi vigliaccamente al riparo delle «colpe» di qualcun’altro. Comodi alibi per comportamenti inopportuni o vergognosi o talvolta anche criminali. Sì, siamo tutti noi «mediamente» incivili e dobbiamo impegnarci in una necessaria rieducazione. La ministra Fedeli non ha ritenuto di rispondere ad un nostro recente appello. Lo riformuliamo qui: vogliamo occuparci nelle scuole di educazione al tifo come elemento centrale, forse di partenza, di quella civica?