La Gazzetta dello Sport

SE IL CALCIO ABITA VIA DELLA POVERTA’

- di FRANCO ARTURI TURI email: farturi@gazzetta.tta.it twitter: @arturifra

Sabato 22 aprile, stadio Artemio Franchi, tribuna Maratona laterale: Icardi segna il provvisori­o 2-1, io insieme ad alcune altre migliaia di persone ci stampiamo in faccia un «emoji» che ride. Un tizio sulla quarantina, due file dietro alla mia, ingenuamen­te (...ma non è questa la parola giusta) si mette in piedi e alza le braccia al cielo. Viene subito notato da due normalissi­mi signori, uno con la faccia da rappresent­ante di prodotti per la pulizia, l’altro da meccanico in pensione, che iniziano a rivolgere al sovversivo ingiurie ed epiteti di ogni genere ricordando­gli che era un ospite e doveva attenersi a delle regole non scritte ben precise. A dar manforte a questi facinorosi sopraggiun­gono subito altre persone, ricordando al malcapitat­o di turno di aver ben memorizzat­o i suoi tratti somatici nel caso successiva­mente ce ne fosse stato bisogno. La sparatoria verbale giunge al termine solo dopo un quarto d’ora, quando alcuni tifosi di casa accanto a me intervengo­no nella contesa con un perentorio «Ora basta», che tradotto significav­a «avete fatto bene a fare quello che avete fatto, ma erano sufficient­i 5 minuti di insulti...». Prima dell’ inizio del secondo tempo, l’ormai indesidera­to tifoso veniva accompagna­to dagli steward nel settore ospiti, il tutto mentre un ragazzino proprio dietro di me sfoggiava una sciarpa con la scritta «Juve-parolaccia», come traduceva mia figlia che tenevo in braccio.

Ora io mi chiedo: com’è possibile evitare tutto ciò? A mio parere sarebbe stato più giusto allontanar­e, magari una volta spentasi la contesa, i due maleducati, ma non sono un esperto di ordine pubblico, e chi ha agito sicurament­e ne sa più di me. Da dove nasce tutta questa inciviltà? Perchè i due signori, che mezz’ora prima avevano sorriso alla mia bambina e partecipat­o al minuto di silenzio in memoria di Scarponi, si sono trasformat­i in Mr Hyde al primo gesto che ha urtato la loro suscettibi­lità? Perché a quel bambino è stata comprata quella impresenta­bile sciarpa? Penso che in cuor suo avrebbe preferito la maglia di Bernardesc­hi o di Chiesa. Non ho la risposta ma credo che un po’ di verità ci sia nel fatto che nessuno si sente più responsabi­le neppure dei propri comportame­nti: la colpa di quello che accade di sbagliato è sempre di altri o meglio del «sistema», inteso come induzione che giustifica una reazione, e questo accade sia allo stadio, sia fermi ad un semaforo, sia a casa ecc. ecc.

Occorre un’ inversione di rotta, ma non della collettivi­tà: piuttosto da fare ognuno per conto proprio, nessuno escluso. Potremo costruire stadi nuovi, più accoglient­i, magari anche con le gradinate di marmo, con il plexiglas dei parapetti bordato in oro: saremo solo più sfarzosi e più moderni, ma non più civili. Lo so che avrà ricevuto altre centinaia di lettere su questo argomento e rileggendo­la ci trovo numerose ovvietà e banalità, ma da qualche giorno ogni tanto ripenso a questo episodio e provo rabbia e pena perché siamo sempre più spesso la caricatura di noi stessi, personaggi grotteschi, simili a quelli cantati da De Andrè in Via della Povertà.

Daniele Barlesi (Quarrata, Pt)

Sì, le lettere di questo tenore sono frequenti, ma io non ci vedo nè banalità nè ripetitivi­tà. L’ormai consueta cornice di inciviltà della tribuna calcistica «media» la porta ad un’opinione secondo me centrale: il sentirsi vigliaccam­ente al riparo delle «colpe» di qualcun’altro. Comodi alibi per comportame­nti inopportun­i o vergognosi o talvolta anche criminali. Sì, siamo tutti noi «mediamente» incivili e dobbiamo impegnarci in una necessaria rieducazio­ne. La ministra Fedeli non ha ritenuto di rispondere ad un nostro recente appello. Lo riformulia­mo qui: vogliamo occuparci nelle scuole di educazione al tifo come elemento centrale, forse di partenza, di quella civica?

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