Zaccheroni «STUDIAVO CRUIJFF MA VOLEVO IDEE MIE E NACQUE IL 3-4-3»
Può anche essere che per lui il tre non sia il numero perfetto, ma comunque ci si avvicina molto. E poi l’accostamento viene automatico: dici Zaccheroni e pensi al tre. Dove tre sta per il numero di difensori. Se non è perfetto è solo perché «in realtà in carriera ho giocato più volte a quattro che a tre». Però resterà sempre il suo marchio di fabbrica. Quello che ha permesso all’Udinese di fare amicizia per la prima volta nella sua storia con la Coppa Uefa e al Milan di conquistare lo scudetto nell’anno del centenario. Poi le stagioni passano e i cicli si ripropongono: Zac osserva e in fondo si sente un po’ un pioniere perché «il mio non era il 3-5-2 che si vedeva in giro, ma un sistema che prevedeva quattro centrocampisti. E c’è una grande differenza». Di certo fa strano pensare che è stato l’ultimo tecnico milanista a giocare stabilmente con la difesa a tre. Sono passati 16 anni, e da allora in poi Berlusconi non l’ha più permesso. Per sdoganarla, il Milan ha dovuto cambiare padrone.
Perché fu così affascinato dal 34-3?
«Nei principali campionati europei non c’erano, che io sapessi, squadre che giocavano in quel modo. A metà campo si disponevano tutte a cinque, che a me non piace per nulla perché alla fine diventa un 5-3-2 e poi ti viene a mancare l’apporto offensivo. Un centrocampo a quattro, invece, può supportare bene l’attacco e la difesa allo stesso tempo. I miei attaccanti non rientravano mai al di qua della metà campo. Però vorrei chiarire subito una cosa».
Prego.
«La differenza nel calcio non la fa il modulo, che per troppi allenatori è l’unico parametro su cui lavorare, ma il modo in cui i giocatori lo interpretano. Ecco perché ho potuto giocare con tre difensori e quattro centrocampisti solo alcune volte: negli altri casi non era possibile per caratteristiche o circostanze particolari. All’Inter, per esempio, con Coco fuori per infortunio giocai a quattro».
E la sua filosofia di linea difensiva a tre da cosa nacque?
«Andavo in giro, studiavo, e vedevo cose che personalmente non mi piacevano. Osservavo Cruijff a Barcellona così come Zeman a Foggia, ma non erano le soluzioni che cercavo. Non condividevo la mediana a tre, che poi costringeva a un inevitabile 4-5-1. Il mio obiettivo era tenerne tre davanti, che non dovessero ripiegare tutte le volte, e allora mi misi a lavorarci su. Prima con carta e penna, poi sul campo. Così, dopo aver sperimentato la mediana a quattro, mi dedicai al modo in cui far giocare i tre dietro. Diciamo che fu una conseguenza, un domino. L’obiettivo primario era evitare che le punte disperdessero