La Gazzetta dello Sport

«HO 60 ANNI E SETTE SACCHI DI LETTERE DA LEGGERE»

COMPLEANNO DOMENICA PER L’EX DIFENSORE DI JUVE E NAZIONALE: «INVECCHIO SERENO, NON MI FINGO GIOVANE. PER FARE CARRIERA IN PANCHINA DEVI SCENDERE A PATTI: E IO NON SONO IL TIPO»

- di ALESSANDRA BOCCI MILANO

C’era Antonio e c’era il Bell’Antonio. «All’inizio mi dava parecchio fastidio, pensavo solo a giocare, non ho mai immaginato di coniugare l’aspetto fisico alla mia attività. Poi mi sono detto, visto che questo Bell’Antonio c’è, facciamoce­lo amico. Ho sfruttato la situazione. Sono stato il primo a fare pubblicità, ho aperto una strada». Antonio Cabrini domenica compie 60 anni. Domani farà una bella festa a Milano con tutti gli amici. «E’ un’età che vuol dire tutto e niente. In me c’è ancora la parte infantile, quella del bambino che voleva essere campione del mondo».

Traguardo raggiunto. E’ ancora un sognatore?

«Sì, anche se so bene che spesso i sogni non si avverano. Da bambino volevo tanto conoscere Pierino Prati, il mio idolo, mancino, fantasioso, irregolare per gli Anni 70. L’ho incontrato parecchio tempo dopo».

Quindi un sogno avverato.

«Ma ero già un profession­ista e non è stata la stessa cosa».

Il mondo è pieno di adulti adolescent­i. Lei a 60 anni come si veste? Come quando ne aveva 30?

«Per carità. Quando mi vedo in foto mi si drizzano i capelli. Non seguo le mode, seguo certe tendenze e quello che è meglio per me adesso. Anche perché il fisico a un certo punto ti presenta il conto e il mio me lo ha presentato giustament­e dopo anni di eccessi. Ho giocato con un ginocchio rotto, in condizioni fisiche estreme, perché mi importava solo della palla, la mia fidanzata da quando avevo 7 anni. Ero totalmente innamorato della palla».

A proposito di amori, ha ancora fan che le scrivono?

«No, ma ho 6-7 sacchi pieni di lettere alle quali non ho mai risposto. Lo faceva mia madre, a un certo punto non ci stava più dietro. Voglio leggerle prima o poi. Anche perché non sopporto la gente che non mi richiama quando telefono. Se ti telefono vuol dire che ho bisogno di sentirti, perché non hai un minuto per richiamare?».

Mai capitato di non richiamare?

«Sì e mi odio per questo. Così come chiedo scusa perché a volte non ricordo tutti quelli che ho conosciuto».

Dicono che per le belle donne sia più difficile invecchiar­e. Lei è un uomo bello: cosa ne pensa?

«Penso che una donna invecchia quando ha la tristezza dentro. Io sono sereno con la mia compagna Marta e spero di continuare a esserlo».

Che rapporto ha con i suoi figli?

«Ottimo, sono adulti e spero di vederli realizzati. Sono stato un padre non troppo presente, ma molto amichevole».

Come si vede a 60 anni?

«Come prima. A 20 ero istintivo, a 30 mi prendevo dieci secondi per decidere, a 40 e 50 un po’ di più, ma le soluzioni erano simili, a 60 continuo a pensare che fosse tutto giusto».

Rifarebbe l’Isola dei Famosi?

«Allora era un’esperienza che mi faceva restare nel mondo della comunicazi­one. Non rimpiango nulla. Piuttosto ci sono momenti che non vorrei rivivere: l’Heysel, la morte di Scirea».

Ha amici nel calcio?

«Prandelli, Paolo Rossi e altri».

Ultima partita vista allo stadio?

«Una di Champions della Juve, l’anno scorso a Torino. Non ricordo quale».

Ha dato le dimissioni da c.t della Nazionale femminile. Che cosa pensa di aver lasciato?

«Moltissimo dal punto di vista della crescita di immagine.Sono riuscito a far riflettere le ragazze su quello che significa essere profession­isti nel calcio. Peccato che qualcuno la pensasse diversamen­te».

Sentito tradito?

«Diciamo che per me una stretta di mano vale più di un contratto. Alla Juve quando te ne andavi non si facevano feste, Totti Day, conferenze. Ci si dava la mano e c’era tutto».

Le piace ancora la Juve?

«E’ la squadra che preferisco in Italia, anche se sono rimasto legato a tutti i club nei quali ho giocato. La Juve mi ha insegnato a essere vincente e a comportarm­i da campione. Alla Juve c’è la società, poi l’allenatore, dopo i giocatori. Da giocatore non puoi lamentarti dell’allenatore. Le ragioni della società vengono prima».

E’ ancora così?

«L’impronta è rimasta, per quello che vedo. La Juve insegna che la programmaz­ione è tutto. Guardo il calcio estero e penso che sono felice dei successi di tanti tecnici italiani».

Da giovane è passato dall’Atalanta, officina di campioni.

«Ambiente ideale quando si hanno vent’anni. Ma sono grato anche al Bologna che mi ha permesso di chiudere bene la carriera. La Nazionale è il premio del lavoro quotidiano ed è troppo facile ricordare il Mondiale vinto. Però sono legatissim­o al trofeo Albertoni vinto con la Cremonese, la squadra della mia città. Battemmo la Juve ai rigori, segnai anch’io».

Cresciuto in campagna, ha vissuto in tante città e oggi è un cittadino milanese.

«Sì, ma mi sento un ragazzo di campagna».

Non ha ottenuto grossi traguardi da allenatore. Che cosa le piacerebbe fare in futuro?

«Tardelli diceva che dopo l’82 avevamo nomi troppo pesanti. Non so se sia questo, credo sia più importante esser legati ai carri giusti e io non sono mai stato così. Avrei potuto arrivare più lontano, ma non amo i compromess­i. Adesso mi piacerebbe un’esperienza all’estero, soprattutt­o a 60 anni vorrei vedere il calcio italiano gestito da ex giocatori, gente che ha vissuto tante situazioni».

HO DATO MOLTO AL MOVIMENTO, MA QUALCUNO NON LA PENSAVA COSÌ ANTONIO CABRINI EX C.T. NAZIONALE DONNE NON HO RIMPIANTI MA NON VORREI RIVIVERE L’HEYSEL E L’ADDIO A SCIREA ANTONIO CABRINI SUL SUO PASSATO

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Antonio Cabrini, 60 anni domenica, campione del mondo nell’82

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