La Gazzetta dello Sport

«ACCIUGA» ALLEGRI E IL GRANDE GIOCO

- di FRANCO ARTURI email: farturi@gazzetta.it twitter: @arturifra

Ho letto, in margine alle polemiche sulla Var, questa dichiarazi­one di Allegri: «…Se no si diventa come il baseball in America. Si sta dieci ore allo stadio, si mangiano le noccioline, si fa un’azione ogni quarto d’ora…». E allora mi è venuta spontanea, da livornese a livornese, una lettera aperta a Mister Allegri, che dalle nostre parti viene chiamato «Acciuga».

Caro Acciuga, ma che ne sai te di un Diamante, quello con la D maiuscola, quello in terra rossa, quello che sporca le divise, non quello che si compra dal gioiellier­e. Perché le emozioni non si possono comprare, caro il mio Acciuga. Dici che sennò si diventa come il baseball in America dove si sta 10 ore allo stadio e si fa un’azione ogni quarto d’ora. Ma l’hai mai vista una partita, Acciuga? Dove tattica ed esplosivit­à rendono questo sport il Grande Gioco, quello che emoziona milioni di bambini nel mondo, e non solo a stelle e strisce: per esempio, c’è quello povero di Cuba, visto con i miei occhi, dove sotto al Santuario della Madonna del Cobre, tra mazzi di girasoli votivi per la Santa Vergine, c’è sempre un gruppo di ragazzini con un guanto di cencio e una mazza che è un bastone (non nel senso nettunese del termine, ma un bastone per davvero) che appena nomini Antonio Munoz, El Gigante del Escambray, quello con cui hai avuto l’onore di sudare insieme, gli si illuminano gli occhi come se tu avessi nominato Baggio o Pelé.

Ogni sport ha i suoi miti, le sue regole e il suo mantra. Quello del Grande Gioco è l’attesa intesa come preghiera, lo sguardo del lanciatore misto tra paura e sfida, il contatto con il legno e poi il sentire la palla che prende la Grande Corrente e va da sola verso il cielo come guidata da Dio in persona. E ti senti il più grande di tutti. È libertà di prendersi anche un minuto di pausa perché un secondo dopo si può scatenare l’inferno e tu devi essere pronto a domare la tempesta. È studio, strategia. Prima che accada qualcosa devi sapere già cosa fare. E tu sai già cosa fare, Acciuga, prima di un dribbling o di un cross?

È una partita a scacchi con tanto sudore in più. Ma che ne sai del baseball, Acciuga? Che ne sai del balsamo di Tigre che ti ghiaccia e scalda il braccio e ti avvolge nel mentolo per due giorni interi; che ne sai dei cappellini girati all’insù e dei giacconi infilati all’incontrari­o per scaramanzi­a, nell’attesa dell’ultimo out, dell’ultima Grande Esultanza. Di quello strike che se arriva, dopo tre ore di gioco, ti rende più felice di un bimbo a cui regalano un altro giro di giostra inaspettat­o? Sì, caro Acciuga, l’attesa. Perché è proprio l’attesa che rende Grande questo Gioco. È l’attesa che si trasforma in vento, in chilometri, in potenza, in sporco, in puzza di pelle sudata, in lividi di cuoio sulle braccia e sulle gambe. In questa parola sta la grandezza di questo sport: attesa. Caro Acciuga, prima di parlare nuovamente del baseball, un consiglio: attendi anche te qualche secondo...

Giacomo Niccolini

Lei mi ricorda tanti e assolati pomeriggi estivi passati da adolescent­e al campo Kennedy di Milano per tifare l’Europhon europea alla fine degli anni 60: lì ho avuto le mie lezioni sull’attesa, provenendo dalle tribune di San Siro, stadio e ippodromo. Uno shock cultural-sportivo. Mi ritrovo nelle sue parole che, molti anni dopo, ho avuto la fortuna di verificare in luoghi leggendari d’America: Fenway Park, Yankee Stadium, Dodgers Stadium. Non credo che Allegri intendesse svalutare il «batti e corri», ma la sua risposta è bella e poetica. Giusta, aggiungere­i. Come quella del nostro Mario Salvini nel suo «chepallebl­og» su Gazzetta.it. Nessuna emozione dello sport è minore o inferiore a un’altra.

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